UGC (User Generated Contents). La riscossa.

18 Ottobre 2011, ore 8:30. Un ascoltatore telefona al filo diretto del programma Prima Pagina, Rai Radio 3, questa settimana condotto da Giorgio dell’Arti (collaboratore di “Il Foglio dei Fogli”, “La Stampa”, “La Gazzetta dello Sport”, “il Fatto Quotidiano” e per i settimanali “Vanity Fair” e “Io Donna”).

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“Buongiorno, volevo sottoporle tre immagini, come in un film di Sorrentino con delle immagini forti e abbastanza violente anche se di quotidianità.

Facciamo così prendiamo una giovane prostituta che dice che per arrivare nella vita bisogna essere leoni e non pecore, che ha questa visione della vita un bel vestito, una bella borsa …
Poi prendiamo un vecchio presidente con dei capelli punk secondo me che parla al telefono nel 2009, momento in cui si sta svolgendo una grande crisi economica e lui pubblicamente dice “ottimismo”, e per telefono dice che bisogna fare la rivoluzione, probabilmente distruggere i palazzi di giustizia.
E poi prendiamo questi giovani di oggi, disperati e probabilmente non capaci di esprimere con parole quello che hanno dentro, e lo esprimono invece come i due personaggi precedenti, con i fatti.

Queste sono storie di disperazione che ci vengono proposte giornalmente, descrivono il mondo così come viene rimandato indietro dai mezzi di informazione e quindi vanno prese con le pinze, non letteralmente.
Ma possono connotare un tessuto sociale: le tre storie non sono disconnesse. Questi tre personaggi della vita quotidiana hanno qualcosa in comune: un deserto profondo, di perversione nel senso di non sapere dov’è la verità e qual’è la realtà dei fatti e di non cercarla anche idealmente, e di non volersi soffermare non ostante la gravità dei problemi a cercare una soluzione co-mu-ni-taria, in comune.

La pietà: io sento una grande pietà per tutte e tre le figure.

Dobbiamo cominciare a capire tramite queste storie che se si vuole fare andar meglio un azienda o il paese “investendo sulla qualità” anziché diminuendo il costo del lavoro, non basta.
Dobbiamo andare oltre, e domandarci cos’è questa qualità ad esempio nel settore della telefonia, vedendo com’è stata spolpata la Telecom in Italia.
Domandarci se ha un senso investire in qualità in un settore di telecomunicazioni in un mondo che è stra-connesso per quanto riguarda le comunicazioni ma è disconnesso per quanto riguarda altre cose: i sentimenti, il senso di comunità.
Vedere se in questo contesto la crisi non sia soltanto un indicatore normalissimo che ci dice che quello che noi stiamo producendo e crediamo soddisfi i bisogni primari, invece soddisfa sempre i soliti bisogni indotti da una pubblicità basata sul sesso.
Che ci dice che è arrivato il momento di smettere di produrre le cose a più infinito e pensare a un tipo di economia che ci serve veramente.

La smania di avere un PIL sempre in aumento, e se per caso non è in aumento non ci sentiamo più dei leoni, è una visione che è stata valida e ha creato un sacco di benessere ma forse come per tutte le cose nella vita forse ora dobbiamo lasciarla.”

Trascrizione e sintesi paolog, testo di Flavio da Roma, 33 anni, operaio, dropout della facoltà di psicologia per motivi economici

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