Li odierei, se non fosse un sentimento troppo forte. Li detesto, li disprezzo. Non i filobus, ovviamente, ma i bagagli con le ruote, onnipresenti in aeroporti e hall di alberghi, trascinati con noncuranza da uomini e donne in giacca, tailleur oppure in bermuda e infradito.
Rigidi e pesanti, sono la negazione di ogni praticità e flessibilità; niente a che vedere con le leggerissime borse di tela o con gli intelligenti zaini, ricchi di tasche, trasportabili in ogni situazione. I trolley sono i SUV dei bagagli: dominano gli spazi, sono invadenti, incontinenti, impazienti, ingombranti, indiscreti; travolgono ogni cosa sul loro cammino, non rispettano i pedoni e i piedi, le gambe, le sedie, i tavoli.
Sono adatti solo ai pavimenti lisci degli aeroporti e degli alberghi, alle scale mobili; vorrei vederli trascinati per le vie di Bamako o Delhi, per i pendii di Granada, i sampietrini di Roma. Sono il bagaglio ideale solo per i turisti “all inclusive”: aeroporto-pullman-hotel-pullman-aeroporto; oggetti senza storia e mitologia, per non-luoghi.
Figli dei bagagli a mano degli equipaggi aerei, divenuti status symbol dei viaggiatori d’affari e poi dei turisti di massa. Figli dell’emulazione, del gregarismo e della moda.
Figli di trolley.