LOCALISMO E “DECRESCITA SERENA”

Come tutti avranno capito, divertenti chiose a parte, il brano del Calomelano Enigmistico era estratto dal “Breve trattato sulla decrescita serena” di Serge Latouche (Bollati Boringhieri, 2008), che, sollecitato da un amico, ho avuto occasione di leggere recentemente. Nonostante non si tratti di una novità, mi preme pubblicare alcuni scarni commenti sul tema.

Nel libro si tratta di una “utopia concreta”, ben più radicale della “crescita sostenibile”; vi si mette in discussione proprio il fondamento dell’economia capitalista: la crescita continua, indispensabile al sistema, del PIL, della produzione, del consumo. La critica viene espressa da un punto di vista ecologico prima che sociale o politico: l’enfasi è posta sulle risorse non rinnovabili (acqua, petrolio, foreste, aria), che, qualora fossero consumate dai paesi in via di sviluppo in quantità simili a quelle dei paesi industrializzati, sarebbero presto esaurite. Il libro prende in considerazione anche gli strumenti per sostenere la crescita: la pubblicità, l’obsolescenza programmata delle merci e il credito al consumo; mette in evidenza alcune delle storture che ne derivano: l’aumento del tempo di lavoro pur in presenza di consistenti aumenti di produttività, le follie del mercato alimentare, la prevalenza della grande distribuzione e la dittatura dei suoi uffici acquisti. Fin qui, per quanto mi riguarda, non posso che concordare.

Ho al contrario più di una perplessità sul versante delle soluzioni proposte. A parte la ripresa di alcune misure care alla sinistra antagonista (e a mio parere ben condivisibili), come la Tobin tax, una forte imposta sulla pubblicità e il computo corretto, nel prezzo delle merci, dei costi accessori nascosti (trasporto, energia, emissioni di CO2), la proposta forte riguarda proprio la “rilocalizzazione”.

Rilocalizzare significa fondare l’economia su “bioregioni”, omogenee geograficamente e culturalmente, che dovrebbero essere il più possibile autosufficienti, dal punto di vista alimentare (tramite l’agricoltura biologica, ovviamente) e non solo; utilizzare una propria moneta complementare; praticare, accanto a una generica solidarietà, un discreto protezionismo.    

Per completare il pensiero di Latouche, la riduzione dei consumi si rifletterebbe in una diminuzione dei tempi di lavoro, che non costituirebbe più il mezzo per la realizzazione personale, sostituito dalla “convivialità”, dalla conoscenza e dall’arte.

D’accordo: niente più pasta di Gragnano e kebab; vivremo d’arte e d’amore; ma in Padania, no! Se bioregione deve essere, che almeno sia la Provenza, l’Attica  o le Asturie.

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