Fiat lux

Vorrei fare una modesta proposta alla Fiom e ai sindacati firmatari dell’accordo riguardante le fabbriche FIAT di Pomigliano e Mirafiori.

Vorrei anche che la platea dei miei due lettori si ampliasse oltre i confini di Calomelano. E dunque: indicizzate, motori di ricerca! Fiom, Cgil, Marchionne, Fiat, Pomigliano,Mirafiori, Newco.

La mia idea è di usare la tattica del contropiede, o le mosse del judo: non rifiutare le premesse della controparte, ma anzi sposarle in toto, ribaltandole sui propri interlocutori. Marchionne vuole provare ad aumentare la produttività, riducendo i costi per unità lavorata? D’accordo! Marchionne vuole ridurre le tutele ai lavoratori e tornare agli anni ’70? E sia. A un patto: che le premesse valgano per tutti, operai, impiegati e dirigenti.

Negli anni ’70 il rapporto tra gli stipendi minimi e massimi in un’azienda come Fiat era di qualche decina di unità (diciamo 30, 40 volte), mentre oggi tale rapporto è cresciuto di almeno un ordine di grandezza (un amministratore delegato di una grossa azienda percepisce emolumenti circa 400 volte maggiori dell’ultimo dei suoi operai).

Ebbene: nel nuovo contratto si inserisca una clausola che stabilisca un tetto allo stipendio, espresso in multipli del salario minimo. Diciamo cinquanta volte: incluse ovviamente le parti fisse e variabili, stock options, automobili, aerei, escort e tutto quanto fa stipendio. E naturalmente anche le liquidazioni dovranno sottostare alla medesima regola. Se l’operaio di livello più basso, dopo tre anni di lavoro, avrà maturato una liquidazione lorda di 4.000 euro, l’amministratore delegato, dopo un identico periodo passato a prendere decisioni, riceverà non più di 200.000 euro. Mi pare una cifra ragguardevole (e cosa se ne farà mai?), ma in fondo equa. E solidale.

Si badi bene: questa misura non avrebbe un valore solo simbolico, come potrebbe invece la riduzione degli stipendi dei parlamentari (mille stipendi per sessanta milioni di italiani). Pensiamo in termini di stipendio minimo aziendale: ridurre da quattrocento unità a cinquanta l’esborso per un amministratore delegato, e in proporzione quello degli altri dirigenti, farebbe risparmiare da cinquecento a mille stipendi, che potrebbero essere riutilizzati in vario modo. Nuovi posti di lavoro, aumento dello stipendio medio degli operai, oppure semplicemente riduzione del costo per unità di prodotto. Obiettivo raggiunto!

Un contratto di questo genere sarebbe poi il seme di tanti altri, in campo pubblico e privato, industriale e bancario, e premetterebbe di ridurre gli stipendi ai vari Moretti, Scaroni, Guarguaglini e compagnia brutta. Quanti vantaggi per gli operai e gli impiegati, e anche per i consumatori! Forza Fiom!

E se poi, in ossequio alle regole di mercato, un brillante AD italiano decidesse di accettare la proposta di qualche azienda europea o americana (non rotolatevi del ridere, per favore), ce ne faremo una ragione. Anzi, qualche centinaio di ragioni.

2 thoughts on “Fiat lux

  1. Rimbalza giusto oggi sul post la notizia che il direttore generale di una delle più dinamiche società californiane, da 13 anni percepisce un dollaro all’anno di stipendio.
    È indubbiamente un ottimo gestore della società, ma in quanto dipendente viene sottopagato: guadagna in quanto ne è egli stesso azionista, per mezzo del reddito da capitale.

    Siccome grazie al crescente successo di certi gingilli l’azienda va a gonfie vele, in questi 13 anni si è arricchito per circa un miliardo e mezzo di euro. Il suo moltiplicatore è certamente superiore a 1000 per quanto riguarda i suoi collaboratori statunitensi, forse 50000 rispetto agli operai che lavorano (indirettamente) per lui in estremo oriente. Questo è il capitalismo bellezza: non c’è limite superiore a quanto uno può guadagnare, soprattutto se il ruolo di gestore coincide o si sovrappone a quello del proprietario dell’azienda.

    Sarebbe divertente immaginare un meccanismo per cappare il reddito massimo e quindi il massimo patrimonio di una singola persona, per adesso la situazione è che gli uomini più ricchi del mondo sono tanti e anche ricchi senza ritegno. Secondo la classifica di Forbes (per quello che vale, vista la difficoltà nel momento attuale di valorizzare certi asset che possono essere poco liquidi) i miliardari in dollari del 2010 erano 1091, e i più ricchi tra loro hanno fortune personali stimate fino a oltre 50 miliardi. Tra loro troviamo 14 cittadini italiani, con età media pari a 69 anni.

  2. In realtà, questa è la forma senile del capitalismo (affetto da demenza, mi pare), che ha preso il posto del capitalismo maturo degli anni ’50-’70 del secolo scorso.
    Un capitalismo che ha perso ogni legame con lo spazio (globalizzazione) e con il tempo (finanziarizzazione), in cui il capitale è libero di spostarsi dove ha il maggior rendimento, senza alcuna responsabilità sociale che non sia quella verso azionisti e fondi d’investimento. Società della finanza e del marketing (altro che “società della conoscenza” !), dove conta solo il brand e dove una compagnia come Nike può prosperare senza possedere un solo impianto produttivo, facendo realizzare in outsourcing i propri prodotti, con costi di pochi dollari, e rivendendoli a qualche centinaio.
    Proprio la politica dovrebbe occuparsi di regolare il mercato, in termini etici, sociali ed economici. Ma gli stati nazionali sono in gran parte troppo piccoli, in rapporto a banche e grandi compagnie, per poterlo fare; d’altro canto, gli stessi stati sono riluttanti a delegare parte del loro potere agli organismi sovranazionali.
    Nel frattempo la Cina, che è ancora in grado di fare politica, economica e industriale (in modo molto discutibile), che qualche legame con il territorio e il lavoro l’ha mantenuto, si sta comprando l’occidente a prezzi di saldo.
    Moriremo cinesi.

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