Trasparenza

C’è un sorprendente accordo tra no global, indignados, confindustriali, governi di centro destra franco-tedeschi e financo i simpatici furboni di casa nostra, tutti uniti contro la finanza, colpevole di mettere a nudo il re.
Fa imbestialire tutti costoro che sia possibile sui mercati mobiliari far passar di mano azioni societarie, obbligazioni e titoli, permettendo a chi lo desidera di scambiarli, con bassi costi per ogni transazione. Eppure render pubblica ogni compravendita che coinvolga ad esempio una porzione di una certa azienda è utile a tutti quanti: pubblico, creditori, collaboratori, concorrenti, clienti e fornitori. Infatti dà un una valutazione istantanea dello stato di salute di quell’azienda, assegnandole il valore che trova d’accordo in quel momento il venditore e il compratore. Come tutte le valutazioni è opinabile, ma è vera nel senso che qualcuno ha messo mano al portafoglio e l’ha firmata coi suoi soldi.

Poichè però per molte aziende la parte effettivamente sul mercato è minoritaria, la fetta maggiore essendo in mano a investitori vincolati o statici (lo stato, la famiglia dei fondatori, una società controllante estera…) oppure momentaneamente non interessati a venderne, a volte i prezzi rilevati sul mercato diventano poco significativi perchè basati su volumi di scambio trascurabili.
Per tali titoli poco commerciati, la finanza moderna, ha ideato speciali artifizi permettere di rendere più preciso il mercato: le vendite allo scoperto e i derivati.
Le vendite allo scoperto aumentano la frequenza delle transazioni, permettendo di effettuare transazioni “virtuali” anche in mancanza di possessori disposti a vendere. I derivati invece permettono di costruire scommesse su un valore, senza necessariamente possedere il sottostante – e poi comprare e vendere queste scommesse; le quali scommesse indirettamente dicono qualcosa sull’oggetto reale: se si dice che i bookmakers danno l’Inter vincitore dello scudetto dieci a uno, e i Credit Default Swap danno la Grecia fallita due a uno, vorrà pur dire qualcosa.

Quando si scopre che uno ha un cancro incurabile, le opinioni differiscono in merito all’opportunità di informare l’interessato.
Vi è un partito della trasparenza, che sostiene sia meglio metterlo a conoscenza quanto prima: per un fatto etico, di rispetto e probabilmente nella speranza di dargli una possibilità di reagire al meglio.
Vi è poi il partito della delicatezza, che sostiene sia più pietoso addolcire la pillola, ritardare il redde rationem, fare illudere un po’ il malato per consentirgli di vivere in modo più tollerabile i suoi ultimi giorni. In certi casi addirittura la verità viene celata anche ai familiari.

Allo stesso modo se un’azienda o una banca sono ormai decotte, le opinioni differiscono in merito all’opportunità di render pubblica l’informazione.
Con l’approccio basato sulla trasparenza si lascierebbe cadere liberamente a picco il valore delle azioni, lavando tutti i panni in piazza, mandando a casa tutti quanti prima possibile e incarcerando gli amministratori incapaci se necessario. E’ questo in teoria l’approccio anglosassone, infatti la (già perfida) Albione sostiene le pratiche di vendita allo scoperto e gli strumenti finanziari derivati, e si oppone alla tassazione delle transazioni finanziarie.
L’approccio europeo continentale invece fa di tutto per tenere nascosto il bubbone, per nascondere gli investimenti sbagliati, proteggendo più a lungo possibile i dipendenti, il buon nome, la stabilità … ma soprattutto le élite, che spesso guardacaso sono apparentate, incrociate e bastardate con altre élite politiche o imprenditoriali che non hanno nessun interesse acchè si inizi a dubitare dei loro amici.

Si capisce che il fanatismo britannico per la finanza è anche un fatto di bieco interesse, perché per la città di Londra il bancario è un settore industriale chiave. Ma c’è di più: la trasparenza da quelle parti è anche un fatto culturale. Non per niente in quelle isole, patria di molti sport oggi praticati ovunque nel mondo (calcio, rugby, golf, cricket) ci tengono assai allo spirito sportivo e al fair play. Limitare, frenare il mercato mobiliare parrebbe un modo per nascondere le classifiche e truccare il gioco.
Nel nostro paese, invece, all’avversione di fondo per la trasparenza che condividiamo con i vicini d’oltralpe si aggiunge il culto nostrano del furbo, del finale a tarallucci e vino, dell’assoluzione plenaria, del camminare sulle corna dei cornuti – chiaramente non conviene a nessuno che si sappia troppo in giro come stanno le cose.
Viva l’Italia ! Viva l’Europa !

3 thoughts on “Trasparenza

  1. L’economista Giorgio Ruffolo ha chiarito i termini del problema in un suo recente articolo sull’Unità (http://cerca.unita.it/ARCHIVE/xml/2305000/2303357.xml?key=autunno+della+finanza&first=1&orderby=1):
    “La moneta è una istituzione che consente di misurare e di scambiare le merci, Quando, usata come merce essa stessa, diventa oggetto di accumulazione, genera processi di arricchimento (di capacità di acquisire merci) ai quali non corrisponde alcuna produzione di merci reale: una ricchezza fittizia, costituita da «titoli» che svolgono nell’economia reale la funzione svolta nel gioco della roulette dai gettoni. I gettoni della roulette però non hanno alcun valore. Sono indicatori di ricchezza, non ricchezza. Se fossero accumulati come ricchezza, distruggerebbero il gioco. La differenza tra beni reali e titoli finanziari si coglie nella differenza tra la regolazione esercitata nello scambio di beni e la sregolatezza consentita dallo scambio di titoli. Un aumento della domanda di caffè comporta un aumento di prezzo del caffè che ristabilisce l’equilibrio attraverso una contrazione della domanda o un aumento dell’offerta. Un aumento della domanda di titoli del caffè ne aumenta il «valore» e può quindi provocare un ulteriore aumento di domanda. È così che si formano le «bolle» speculative. Nel primo caso siamo di fronte al bene caffè, oggettivo e reale, nel secondo di fronte a una opinione soggettiva del suo valore. L’aumento di valore dovuto a opinioni soggettive non dovrebbe dar luogo a creazione di moneta, cioè a un titolo che dà diritto all’acquisizione di beni reali. La liquidità che ne risulta non è ricchezza vera, è ricchezza fittizia. Tuttavia essa dà ai suoi detentori il diritto di impossessarsi di ricchezza reale. La base di quella ricchezza fittizia non è una produzione di ricchezza ma una fiducia nella produzione di ricchezza. Se la fiducia viene meno, sfuma anche la ricchezza. L’accumulazione di moneta non dovrebbe comportare dunque accumulazione di ricchezza.”.
    Aggiungo che, se l’uso del denaro nello scambio di beni reali o in investimenti produttivi è spesso un gioco a somma positiva (anche solo in termine di valore d’uso dei beni reali), il suo puro utilizzo finanziario è un gioco a somma zero, dove non possono che vincere banche e affini, che gestiscono e creano denaro, e possiedono informazioni e tecnologie esclusive. Manco a dirlo, a perdere sono i comuni risparmiatori e i contribuenti: tanto che, dagli anni ’80 ad oggi, il rapporto tra i più ricchi e i meno abbienti è aumentato nei paesi occidentali di almeno un ordine di grandezza.
    Infine, una rassicurazione: molti abbaiano contro la finanziariazzazione dell’economia, ma in fondo, da trent’anni a questa parte, nessun politico, né di destra, né di sinistra (inclusi i presidenti di “sinistra” Clinton e Obama), ha mai morso la mano che finanziava riccamente le sue campagne elettorali. Anzi, proprio Clinton si è contraddistinto per l’abolizione di alcuni minimi vincoli rimasti all’attività dei banchieri. Pecunia non olet, e persino il nostro centro sinistra pensa a un banchiere come “papa straniero” (senza parlare di quelli che sostengono il terzo polo).
    Cosa c’è poi di meno trasparente di una delle ultime incarnazioni della finanza creativa: le “private equities”, che acquistano aziende utilizzando forti leve finanziarie, sottraendole alla Borsa, ristrutturandole poi per ricavarne alti profitti ?
    Concludo con le parole di Fernand Braudel (Espansione europea e capitalismo 1450-1650), certo più competente degli indignati, e meno opportunista di Merkozy:
    “Ad Amsterdam infatti non tarda a farsi strada un capitalismo complicato, dedito alla speculazione, svincolato dalla merce, un sistema che in breve si espande, poi erode tutto e tutto spazza via. Ancor prima della fine del XVII secolo la Borsa di Amsterdam è già rotta a tutti i trucchi e gli espedienti che si praticano oggi nelle nostre borse”.

  2. Leggo e rileggo l’articolo dell’esimio Ruffolo senza capire più di tanto: non sono un’iniziato delle scienze economiche !

    Qualche esempio. Dice “indebitamento permanente” con una connotazione negativa; ma cosa c’è di male ? Dice “diseguaglianze tra redditi di capitale e di lavoro” ma sono i macchinari a moltiplicare la produttività quindi è corretto che il capitale sia più importante del lavoro o no ?
    Dice “gli sciocchi sono separati dal loro denaro“: stiamo parlando dei pensionati del fondo Cometa che magari senza saperlo detengono indirettamente “titoli” di dubbia affidabilità ?

    Comunque, l’importante è la ricetta dell’esperto per uscire dal pantano. Mi sembra si possa cogliere nel richiamo all’anarchico Silvio Gesell, che proponeva di azzerare il costo del denaro, o addirittura di renderlo negativo.
    Colpisce il legame con la finanza islamica della prima proposta (vedi “Santa finanza”): secondo i dettagli di Maometto (sempre sia lodato il suo nome) non è lecito riscuotere interessi sui prestiti.
    Quanto agli interessi negativi, curiosamente al momento ci stanno pensando .. in Svizzera. Nell’altro epicentro della finanza appunto, per arginare l’afflusso di capitali stranieri che rende il Franco troppo forte, forse applicheranno nuovamente i tassi di interesse negativi sui conti detenuti dai non residenti, come già fatto negli anni ’70.
    Buffo, no ?

  3. L’indebitamento permanente è ciò che permette alla cosiddetta finanza internazionale (in pratica un’accolita di “cravattari” in doppio petto) di prosperare a spese dei privati cittadini e degli Stati (quindi ancora dei privati cittadini). Siccome poi i “cravattari” legali non possono attuare i metodi di quelli clandestini, ogni tanto sono a corto di denaro, facendosi in tal caso rifondere dagli Stati (cornuti e mazziati!). E’ la migliore tradizione italiana elevata a sistema: privatizzare i profitti e socializzare le perdite.
    Fuori di polemica, credo che la soluzione (finale ?) sia il riequilibrio del governo della moneta tra Stato e mercato. Oggi la gestione è principalmente nelle mani di banche e finanza; sarebbe auspicabile che gli Stati si riprendessero completamente il potere di battere moneta e le banche (e finanziarie) agissero solo da terminale di raccolta e prestito di denaro (quello vero: posseduto al 100% !).
    D’un colpo sparirebbero molti degli artifizi usati dalla finanza per lucrare profitti: vendite allo scoperto, Hft, e via discorrendo. Quando lor signori acquistano o vendono, il denaro (vero!) dovrebbe essere già nelle loro casse, e non creato all’istante per i loro comodi. Troppo facile.

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