Il 12 luglio 2007 a Baghdad si preannunciava un’altra giornata caldissima, ma la notte senza luna e l’aria secca del deserto avevano portato relativo refrigerio.
La compagnia di fanteria B2-16 era in giro da ben prima dell’alba alla ricerca di tizi sospetti e di depositi illegali di armi, un lavoro sporco con la minaccia costante di finire bersagliati dai cecchini. Siamo nel 4° anno dall’invasione, nella fase dell’ostinazione rabbiosa di George W. Bush, dell’invio di nuove truppe, delle regole di ingaggio spietate per decapitare gli insurgenti, altrimenti detti terroristi o partigiani, chi lo sa qual’è la parola giusta.
Due elicotteri Boeing AH-64 Apache chiamati Cavallo Pazzo 18 e Cavallo Pazzo 19 sorvolavano la zona come metronomi, guidati dal pilota automatico su ampi cerchi a bassa quota, per assicurare i benefici della superiorità aerea. Lo spettacolo dell’alba mesopotamica vista da una di queste meravigliose macchine di morte deve essere impagabile, come accompagnamento il ruggito delle due turbine da tremila cavalli che ti tengono incollato al sedile come su una giostra metafisica, sempre in movimento per non rischiare di essere tirati giù da qualche lanciarazzi.
Invece in Nevada era notte fonda quando sono entrati in turno gli altri eroi di questa storia, quelli meno appariscenti, di corporatura più minuta e tendenti alla miopia per le lunghe ore passate a fissare gli schermi. Ironia della sorte, la base segreta dalla quale si coordinano gli aerei spia, si interpretano le intercettazioni e le immagini satellitari, è vicina a un altro deserto dove imperversa lo stesso identico caldo infernale che c’è a Baghdad. Anche l’aria condizionata all’interno della base li affratella con i colleghi sull’elicottero.
Per ultimo entrano nella storia i giornalisti Saeed Chmagh e Namir Noor-Eldeen in forza all’agenzia Reuters, loro incominciano effettivamente a lavorare solo alle dieci ora locale. Il piano oggi è andare a fare qualche foto da brivido dei blindati USA visti dall’altro lato della barricata – quello che chiede il mercato: immagini che diano l’illusione di essere non-embedded. Vanno in una piazzetta da qualche parte nella zona Est della città nuova. È pericoloso aggirarsi da queste parti da soli, quindi si fanno accompagnare da amici. Amici e amici di amici, per la proprietà transitiva si è tutti amici. Anche quei due spuntati da chissà dove con delle armi, anche uno che porta uno di quei lanciarazzi che danno tanto sui nervi ai militari sugli elicotteri, che da qua neanche si vedono.
Le telecamere stabilizzate giroscopicamente invece permettono da lassù quasi di riconoscere in volto gli individui che finiscono nel mirino, anche alla distanza di un chilometro. I colleghi in Nevada sono collegati in tempo reale, e sono addestrati a studiare senza sosta le riprese dagli elicotteri bevendo litri di caffè annacquato dai tazzoni del superbowl.
Non appena qualcuno si accorge del lanciarazzi, scatta l’adrenalina per tutti. In un crescendo i ragazzi collegati da varie basi in giro per il mondo, gli ufficiali nei bunker, gli elicotteristi, tutti quanti si fanno prendere dall’eccitazione della caccia. L’ufficiale responsabile che dà l’OK a sparare ha il buffo nome in codice di Signore del Cespuglio 7; dopo soli due minuti dal primo avvistamento si sente dall’abitacolo dell’elicottero il ritmo rassicurante dei mitragliatori Hughes M230, un suono che conosciamo da innumerevoli film e videogiochi.
Ora la prima parte del dramma è finita e ci sono un ferito e 8 morti sul terreno, tra i quali i due giornalisti. Ma dopo cinque minuti ha la sfortuna di passare da lì un tizio su un monovolume scuro; a bordo c’è anche un ragazzino e una ragazzina di 4 anni. L’autista vede la carneficina e il ferito e cerca di soccorrerlo, ignaro degli elicotteri che girano come avvoltoi rasenti l’orizzonte. Di nuovo sale l’adrenalina, si cerca il Capo del Cespuglio 7 che evidentemente deve gestire in parallelo più situazioni simili a questa (anche la vita degli ufficiali è dura). Dopo pochi secondi arriva la nuova autorizzazione e piomba anche sul camioncino la pioggia di proiettili calibro 30, ognuno grosso come il pugno di un bambino, proiettili progettati per sfondare i muri e normalmente impiegati contro veicoli blindati.
Questa in sintesi la storia che ci raccolta collateral damage, il video rivelato due anni più tardi, il 5 Aprile 2010 da wikileaks.
Sono le immagini riprese da uno dei due elicotteri, rimpicciolite e degradate dai passaggi di mano che hanno subito per arrivare fino a noi. Pare che questa fuga di notizie si deva a Bradley Manning, l’apparentemente inoffensivo esperto informatico che è responsabile anche del più umiliante sbugiardamento della diplomazia e dei militari della superpotenza, avendo contribuito alla diffusione di innumerevoli dispacci diplomatici e report militari supersegreti.
La visione del filmato dà una sensazione di immaterialità: il reality militare involontario ha la stessa iconografia del videogioco. Si capisce perché sia possibile senza perdere il senno prendere questo tipo di decisioni guardando queste immagini, e attuarle pigiando un bottone dall’elicottero quali sovrumani angeli sterminatori. La tecnologia meravigliosa, le macchine perfette, i satelliti in orbita che danno la posizione esatta di tutti quanti, che mantengono collegate decine di persone sono l’espressione gloriosa dell’ingegno umano. Queste persone sono concentrate e motivate, fredde e distaccate, e pensano di fare il meglio per proteggere i colleghi a terra. Ma la testimonianza del soldato che si è trovato a dover perlustrare la scena dopo un quarto d’ora è ben diversa, parla degli odori, del caldo insopportabile, dei cadaveri dilaniati.
Difficile trarre una morale, arrogante azzardare un giudizio sull’operato di questi militari. Lasciamo agli storici e alle prossime generazioni il giudizio sulla guerra d’Irak (2003-2011). Restano i morti tra i civili e i giornalisti, e la certezza salda che il mondo è migliore dopo aver visto questa cosa. Dodici milioni di volte è stato visto il video nella versione breve liberamente disponibile su un famoso sito di video sharing, che consente di farsi un’idea sulla guerra chirurgica e le bombe intelligenti. Viva la trasparenza e la fuga di notizie che mette a nudo il re !
Resta il dubbio se esista veramente Julian Assange. Se sia veramente rinchiuso dal 19 giugno nell’ambasciata dell’Equador a Londra, se non sia un cyborg il biondino che è apparso ieri a fare un discorso da leader (di cosa?). E il dubbio se esista Bradley Manning, che pare sia in carcere militare da oltre due anni, un procedimento giudiziario in animazione sospesa come se aspettassero qualcosa. Che non siano personaggi inventati in questa fiction globale, fantocci di un gioco di manipolazione mediatico dove reale e virtuale, vero e falso sono fittamente intrecciati.
Vorremo però solo che non ci fossero altri sacrifici umani per vendicare l’ira dei generali umiliati e disturbati da questo occhio indiscreto sul loro operato.
Fonti: