Nel settembre 1914, poco dopo l’inizio della prima guerra mondiale, fu fatto circolare dall’allora cancelliere del Reich Theobald von Bethmann Hollweg un documento chiamato Septemberprogramm, che avrebbe dovuto riassumere gli obiettivi germanici nella guerra che stava per iniziare. Il documento non è una carta ufficiale del governo, sembra piuttosto un programma da discutere, e gli storici dibattono sulla sua reale importanza.
Indipendentemente dalla sua ufficialità, a noi pare che al punto 4 si sia formulata per esteso nel modo più esplicito quella che sembra essere la hidden agenda di molti recenti eventi su scala europea, nella visione di certe elites economiche germaniche (il mitico conglomerato industrial-militare):
4. Es ist zu erreichen die Gründung eines mitteleuropäischen Wirtschaftsverbandes durch gemeinsame Zollabmachungen, unter Einschluß von Frankreich, Belgien, Holland, Dänemark, Österreich-Ungarn, Polen und eventl. Italien, Schweden und Norwegen. Dieser Verband, wohl ohne gemeinsame konstitutionelle Spitze, unter äußerlicher Gleichberechtigung seiner Mitglieder, aber tatsächlich unter deutscher Führung, muß die wirtschaftliche Vorherrschaft Deutschlands über Mitteleuropa stabilisieren.
4. Bisogna arrivare alla fondazione di una associazione economica mitteleuropea mediante comuni convenzioni doganali, con l’inclusione di Francia, Belgio, Olanda, Danimarca, Austria-Ungheria, Polonia ed eventualmente Italia, Svezia e Norvegia. Questa associazione, senza organi direttivi costituzionali comuni, caratterizzata esternamente da parità di diritti tra i suoi membri, ma in effetti sotto direzione tedesca, dovrà stabilire il predominio economico della Germania sull’Europa centrale.
A quasi cento anni dalla formulazione di queste parole, e dopo due tentativi armati (andati male) di stabilire questo predominio economico, cos’è infatti l’Unione Europea se non una unione puramente doganale ed economica, priva di un organo direttivo democratico, e soggetta all’azione di lobbying degli stati nazionali più forti ?
Il sogno di Theobald von Bethmann Hollweg si è realizzato, in più arricchito in corsa di alcuni precetti del neoliberismo selvaggio è diventato così il nostro incubo perfetto !
Siamo nel punto più basso dell’entusiasmo europeista, e rinvangare questi pensieri oscuri rischia di gettare benzina sul fuoco del peggiore, oscuro e retrogrado nazionalismo / regionalismo. Le chiavi di lettura proposte su Calomelano ci permettono di inquadrare l’unificazione europea come un processo di disintermediazione dei processi politici e decisionali che porterebbe ad un governo centralizzato europeo se non ci fossero a bloccarlo i vincoli giuridici esistenti (le costituzioni nazionali). Qualche blocco serve, per non cadere nella trappola della centralizzazione completa, ma che il processo si sia bloccato sugli stati nazionali è il risultato di un arbitrio del caso. La soluzione ? Ridefinire l’equilibrio tra centro e periferia, stabilendo una struttura decentrata e federale più equilibrata, che blocchi la disintermediazione totale istituendo dei centri di potere locale con granularità più fine degli stati nazionali: le macroregioni. Dividendo gli stati nazionali in macroregioni si spezzerebbe anche l’egemonia politica germanica, mentre rimarrebbe la supremazia economica delle aziende bavaresi o della vestfalia.
Lo stato centrale europeo, federale, avrebbe la stazza per confrontarsi alla pari con le aziende multinazionali e con le altre potenze continentali. Le regioni che lo comporrebbero avrebbero la dimensione locale giusta per raccogliere le istanze del territorio (ogni villaggio a meno di 2 ore di treno dal capoluogo), senza dare luogo a dinamiche egemoniche. Una ridefinizione di questo tipo non può che avvenire che con una discontinuità, visto che i vincoli giuridici in essere rendono impossibile la transizione. C’è molto da imparare a rileggere la storia della Confederazione Elvetica, e di come nel 1948 con la guerra del Sonderbund si fece l’unione federale con un atto di guerra (limitato, per fortuna con meno di 100 morti) per superare le difficoltà tecniche e politiche per passare da uno status quo inchiodato a una nuova configurazione.