Di nuovi generi (letterari) e di nuove generazioni (di scrittori): “Pensieri & Comete” di Marco Cavanna. Recensione di Annalisa Bendelli

Parto dal titolo, “Pensieri & comete”, perché lo trovo molto bello e originale, semplice, lieve, poetico e insieme sottilmente spiazzante, con quella metafora-iperbole delle ‘comete’ e quella congiunzione ‘commerciale’ che vuole smorzarne ironicamente la temperatura aulica, poetica, richiamando insieme alle prime tre lettere della parola ‘comete’ il sintagma ‘… & com… pany’ delle insegne mercantili…

Come è bellissima la spiegazione che ne dà l’autore, il poco più che ventenne Marco Cavanna, in una lettera di risposta e ringraziamento ad un mio commento a caldo alla sua opera prima (me l’aveva segnalata il fratello Gabriele, mio eccezionale, indimenticato, ex- allievo, chiedendomi un parere, in qualità di insegnante di lettere):

… un titolo che deriva in realtà dal componimento #∞ che mi porto dentro dal Febbraio 2015 (…) e che decisi fin da allora di utilizzare in futuro come incipit o titolo di una mia opera forse perché, semplicemente, trovavo suonasse molto bene e rappresentasse in maniera molto precisa quello che penso dei pensieri (…) ovvero che essi, proprio come delle comete, continuino a correre per la nostra mente (= universo) ritornando più e più volte a sfiorarci, a toccarci, ad affascinarci, seppure in maniera diversa e anche dopo tanto tempo.”

Un libricino snello, che intreccia e contamina dialogo, romanzo epistolare, diario e insieme ‘operetta morale’ in minore o minizibaldone, mi si perdoni il riferimento un po’ scontato e scolastico al grande Leopardi, cui mi conduce per automatismo la mia professione, ma anche quel particolare e originale afflato gnomico e pure una certa dimensione cosmica, ben segnalata dalla copertina, con quella silhouette di fanciullo umano/alieno in atteggiamento contemplativo, come una boccetta riempita di universo, materia cosmica; immagine semplice, quasi naive, eppure di grande forza evocativa e rappresentativa.

La preoccupazione relativa al genere in cui incasellare il prodotto è senz’altro riconducibile a pedanteria o vizio professionale, come ho confessato all’autore nel commento citato però, ho constatato, è stata altrettanto sentita dal giovane scrittore, lo si evince da passi della sua lunga lettera in cui ripercorre la sua storia scolastica, l’amore per la letteratura, quella italiana in particolare, suscitato e accudito da un’intelligente professoressa dell’Istituto Magistrale di Vercelli (Maresa Degiorgis, voglio nominarla, perché merita almeno una menzione, nel desolante panorama odierno, un’insegnante che abbia avuto un tale effetto su un allievo) e dunque individua la genesi dell’opera e il maturare della sua vocazione alla scrittura:

E’ a partire dall’estate del 2013, anche, anzi a causa di un determinato evento nella mia vita privata che ho cominciato a scribacchiare tutto quello che mi passava per la testa cercando di dare una qualche forma ai miei pensieri e alle mie riflessioni.

Un anno dopo incominciai anche a tenere un diario personale, continuando quindi a scrivere, ma questa volta con uno scopo ancora più preciso: quello di fissare al meglio ciò che mi succedeva intorno e che volevo ricordare.”

Marco evoca esperienze decisive, viaggi e città (Tokyo, oppure Torino, “Città dove uno dei miei poeti preferiti, Pavese, si tolse la vita.”), svolte esistenziali e creative:

E fu proprio durante una sera dell’appena nato 2017 che mi venne in mente di iniziare a lavorare seriamente a un libro, qualcosa che parlasse di me, o che comunque dimostrasse (più che altro a me stesso) che quello che sentivo dentro aveva un valore e doveva per questo essere scritto…”

E, più avanti:
“ I diari invece, ovvero le introduzioni di ‘Lei’ a inizio sessione, sono comparsi solo nell’ultima ‘forma’ per unire in maniera più coerente tutti i pensieri che altrimenti risultavano troppo liberi e svincolati… Insomma l’opera fino all’introduzione dei diari e della ‘trama’ sembrava, anzi era, una semplice raccolta di pensieri personali e autobiografici, troppo autobiografici”.

Colpisce, oltre alla freschezza, genuinità non ingenua della riflessione, proprio la consapevolezza matura, direi scafata, rispetto al fare scrittura, da parte di un giovanissimo.

Quel dare opportuno valore alla forma, quel riproporre in tempi negletti e sciatti un problema di composizione formale del pensiero, la dialettica mai risolta ma sempre vitale e stimolante, sempre rinnovata, tra forma e contenuto…

A insegnanti di lettere come me viene prepotentemente in mente Foscolo la cui scelta della forma ‘sonetto’ ha una ragione ideologica più ancora che metrica, in quanto struttura metrica istituzionale della nostra tradizione poetica – dal suo inventore, il Notaro, attraverso la sanzione dantesca e poi la predilezione petrarchesca – un modo per sentire, lui meticcio, apolide, irredimibilmente esule, l’appartenenza a una patria, l’unica che al tempo potesse individuare, ovvero la tradizione letteraria italiana…

Ma anche per l’esigenza di comporre in forme accreditate e ‘sicure’, collaudate, il tumulto inquieto e scomposto dello spirito inquieto e guerriero.

Oppure viene alla mente il Leopardi eversivo nel metro quanto conservatore nell’idea di cultura, che forgia la forma informale degli endecasillabi sciolti più consoni al respiro del suo discorso poetico-filosofico irriducibile in forme chiuse, gabbie o gabbiette metriche…

O ancora al Manzoni che sconfessa la precedente produzione in versi e si dedica tutto al romanzo in prosa, mettendo a punto in teoria e pratica il ‘nuovo’ genere del romanzo storico.

E’ una forma ibrida, meticciata, tra prosa, poesia e prosa poetica quella di P&C, necessariamente, credo, in epoca di forme informali e informi riformate e deformate, ma interessante, originale, nel suo sperimentalismo funzionale, necessitato dalla materia composita del pensiero, del sentimento, dell’intento espressivo.

E lo scambio epistolare che abbiamo avuto al proposito contiene sintomaticamente spunti ed echi della perenne “querelle des Anciens et des Modernes”, certamente ‘in minore’ (se non so dire chi mai sia o possa essere Marco Cavanna in ambito letterario, io non son certo un Pietro Giordani, un Claude Fauriel, nemmeno un Monsieur Chauvet, una Madame de Maintenon o de Sévigné o tanto meno de Staël, volendo passare al fronte ‘modernista’…).

Perché, se io timidamente denunciavo la mia incapacità di apprezzare certi aspetti dell’opera, imputandola con un certo imbarazzo alla mia condizione di donna agée, di insegnante pedante e legata a vecchi schemi magari a una sorta di ‘bon ton’ stilistico, per esempio certi effetti pulp nella narrazione, oppure la sequenza dedicata all’amore di ‘Lui’ per l’ automobile che mi appariva un po’ forzata, esasperata, allotria, lui puntualmente ribatteva con energia, determinazione e forza giovanile:

Soffermandoci sui particolari ‘pulp’ trovo che questi ultimi diano una particolare personalità all’opera ( che all’inizio temevo risultasse troppo ‘smielata’) e rendano più diretti e dirompenti i pensieri e le riflessioni di ‘Lei’ sulla misteriosa e inattesa scomparsa di ‘Lui’ ( che spero di essere riuscito a far percepire come un’onda d’urto che irrompe nella psiche della protagonista demolendo ogni certezza pre-esistente).

Infine, capisco che non a tutti possano piacere la sessione dedicata alla passione di ‘Lui’ per le automobili e le varie analogie tra macchina e Donna, ma , personalmente, intendo la macchina come fedele compagna di viaggio con cui ricercare e raggiungere la libertà esplorando i confini dell’esistenza e per questo quindi simile alla Donna (o per lo meno alla mia personalissima idea di Donna-Compagna).”

Marco parla di “storia di una separazione fino alla fine non spiegata” in cui ha disseminato “indizi su quello che poteva essere successo a ‘Lui’ e/o su quello che ‘Lei’ si domandava e cercava disperatamente di capire.”

Ma c’è ben altro, oltre e dentro la storia: i temi del viaggio, partire/tornare, ‘nella’ e ‘della’ vita, della ricerca di un senso, disperata, per lo più frustrata, ma strenua, cocciuta, esaltata a tratti, dell’essere in sé e ‘insieme a’, del rapporto, del legame e della perdita insensata, dell’esistenza / r… esistenza, dell’avventura della mente e dell’esperienza, del sogno, dell’illusione e dell’oblio… temi che si condensano e compongono, nella sequenza di ‘Lui’, in forma di aforismi folgoranti, haiku, epigrammi gnomico – poetici e che, nonostante la natura di frammenti, hanno contiguità e continuità tematica e traggono forza e risalto anche in virtù del controcanto dolente, prosaico, della compagna, ‘Lei’, che non comprende e non si rassegna alla perdita.

Mi chiedo spesso che cosa sia un’ opera letteraria, cosa ne determini l’ importanza, il peso, il valore, la tenuta e riuscita … soprattutto quando mi trovo a dover proporre o, ahimè, imporre testi ai miei allievi… e con un certo disagio mi rendo sempre più conto che non saprei dirlo né delle opere di Foscolo o Leopardi né degli altri grandi che stipano i manuali e le antologie… come non so dirlo di questa opera prima di un aspirante scrittore…

Quel che posso dire invece, con semplicità e sincerità, è che c’è in essa forza e slancio, originalità e freschezza… resta nella testa, muove il pensiero, suscita il sentimento, tenta e trova nuove vie espressive, si colloca con una sua particolare dimensione tra i generi vecchi e nuovi, tra vecchie e nuove generazioni e, almeno per quel che mi riguarda, con un non trascurabile effetto ri… generante.

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