Volere volare

Milioni di persone in queste settimane e nei prossimi mesi ritorneranno negli aeroporti europei, dopo averli evitati per due anni, e si troveranno intrappolate in un girone infernale.

Si comincia con l’autobus che ti porta all’aeroporto, stipato all’inverosimile, tanto che l’aria condizionata fatica ad asportare il calore emesso da 60 umani surriscaldati per la fretta. Unica consolazione, la calca ti tiene in piedi nelle curve mentre l’autobus piroetta nelle rotonde, numerosissime nei pressi dell’aeroporto.

Uscendo dall’autobus la realtà oggettiva del caldo insopportabile ci colpisce, causato dal calore rigettato all’esterno da quell’enorme capannone in cui ci apprestiamo a entrare, più quello sviluppato dalle turbine degli aerei, oltre naturalmente al riscaldamento globale, a cui peraltro il traffico aereo civile dà un buon contributo.

Entriamo dunque, perchè questo è davvero quello che vogliamo, qui dove si svolge una coreografia a prima vista incomprensibile. Mille persone suppergiù percorrono rassegnate un labirinto a zigzag delimitato da staccionate che porta le pecore verso il controllo bagagli. Anche noi dovremo ballare questa danza, se facciamo parte della moltitudine di disgraziati, di pezzenti, sprovvisti del privilegio del fast track.

Ah, il controllo bagagli, mi ricorda gli anni zero e la Grande Paura dei terroristi, che precedette la Grande Paura dello spread e quella della pandemia. Ma si sa ogni Grande Paura viene subito dimenticata quando arriva quella nuova, adesso pare la prossima sarà per l’apocalisse climatica, se non arriva prima la guerra termonucleare globale.

Quindi mascherine a mezz’asta sotto il mento e controllo bagagli pro forma, ma in fretta! Anche perchè metà dei nastri sono inattivi (tagli al personale?), l’affollamento è massimo, e gli addetti corrono di qua e di là come cani pastori mordendo alle calcagna i viaggiatori che ciondolano dopo 45 minuti di attesa. In questa zona è vietato effettuare riprese video, chiaramente per prevenire spiacevoli incidenti dove qualche burlone si prende gioco della security facendo passare nello zaino un coltello a serramanico o un flacone da 300 ml di crema anticellulite.

Se si ha la pazienza di attraversare questo purgatorio però (e bisogna dargli atto ai miserabili che tutti si assoggettano senza fiatare alla pantomima) si passa al livello successivo che almeno inizialmente si presenta come un paradiso: il paradiso del consumo.

Anche qui veniamo incanalati in un percorso a zigzag, però su palquet in legno, colori caldi, tanta luce, tutto bellissimo e progettato a tavolino per massimizzare gli acquisti e tosare le pecore. Unica nota stonata, alcuni passeggeri che vengono indietro in controcorrente imprecando o piangendo per aver mancato di pochi minuti l’accesso al volo: la frase “the gate closes at …” viene interpretata inflessibilmente per quel 10% di voli che partono in orario. Sono ahimé lontani i tempi in cui i ritardatari venivano chiamati per nome, oppure addirittura ti caricavano all’ultimo minuto su un van che quasi rincorreva l’aereo! Adesso c’è tolleranza zero per i ritardatari, sarà l’Europa che ce lo chiede.

Questi miserabili tra i miserabili (lo so perchè mi è successo) dovranno tornare indietro alle partenze, piú precisamente alla biglietteria, dove verranno spiumati della tassa (100 euri puliti puliti) per avere il diritto di fare un altro giro sulla giostra.

Ma tranquilli: molto più probabile che il nostro volo venga ritardato se non cancellato! È qui che diventa chiaro che quello che sembrava a prima vista un paradiso in realtà è un inferno o almeno una grande scocciatura.

Ci si trova reclusi per due, quattro o sei ore in una specie di centro commerciale dove la scelta delle merci è ridottissina, peró i prezzi salatissimi. Inevitabile contribuire anche qui al sostentamento del sistema, se non altro per pura disperazione.

Se tutto va bene dunque si parte, allacciamo le cinture e stringiamo il culo perchè si sa, è il decollo il momento più pericoloso.