Ci risiamo. Pietro Citati ha pubblicato l’ennesimo articolo contro l’affollamento dei musei e delle mostre, frequentate da orde di barbari (soprattutto scolaresche e gruppi organizzati), meno interessati all’arte che all’evento o al luogo. Insomma, da coloro per i quali è importante poter dire: “Io c’ero”.
Nulla di quanto scrive è meno che condivisibile, tuttavia l’esercizio è vacuo, inutile, come lanciare un’invettiva contro la seconda legge della termodinamica o i brufoli da eccesso di salame. La società di massa ha le sue regole ferree, che non si possono combattere, ma solo studiare e descrivere.
Provo comunque a proporre alcuni modi per accontentare Citati, mutuandoli da altri contesti.
- Selezione culturale. Si effettuerà un test d’ingresso alle mostre e ai musei, per esempio: “Dov’è custodita la Trasfigurazione di Raffaello?, oppure, più semplice, a risposta multipla: “Chi ha dipinto la deposizione dalla Croce di Volterra? (Verde Lumbard – Rosso Fiorentino – Azzurra Caltagirone)”. Applicabile anche alle elezioni locali e nazionali: pochi ma buoni.
- Selezione estetica. I musei saranno dotati di buttadentro, che sceglieranno i candidati in base all’aspetto: dovrà corrispondere al modello intellettual-sfigato, e perciò niente abiti firmati, tatuaggi, abbronzature e conversazioni frivole. Perfetto contrappasso per la società dell’immagine.
- Selezione per cooptazione. Alle mostre entreranno solamente amici e parenti del direttore e degli impiegati del museo: all’italiana.
- Selezione per censo. L’ingresso alle mostre risponderà a criteri di mercato: gli immancabili Impressionisti costeranno almeno 200 €, Caravaggio 150 € e Mantegna 50€; privé da 500 € per ammirare l’opera più famosa, con bicchiere di champagne compreso nel prezzo. Al termine della stagione, Crivelli e Boucher in saldo per i meno abbienti. Le griffe insegnano.
Più seriamente: si dovrebbe, come implicitamente suggerisce Citati, limitare l’accesso a scolaresche e gruppi organizzati ? Contravvenendo alle regole della società di massa ?
Il problema di fatto non esiste oppure è un altro.
Facciamo un passo indietro: l’idea del museo arriva tardi, gli Uffizi ed i Musei Vaticani realizzati per volontà del sovrano / principe / papa (XVI – XVIII secolo), poi il museo moderno col Louvre (1793) ed il British Museum (1808).
Dietro c’è un idea relativamente abbastanza bizzarra: si vuole conservare illimitatamente il passato, come in un cimitero eterno; la produzione vi si stratifica senza sosta, negli incubi uno si immagina le croste e le concrezioni accumulate nelle cantine dei musei che debordano e ci sommergono !
In un’altra interpretazione i musei sarebbero dei compratori di ultima istanza per alleggerire il mercato dell’arte nascondendo l’enorme, ingestibile stock negli scantinati; senza musei buona parte di questa roba si commercerebbe nei mercatini e verrebbe riutilizzata come si è sempre fatto dipingendo dietro o sopra le tele, o come materiale inerte.
Per fortuna invece tutto questo materiale resta lì sotto a prender polvere, solo occasionalmente i curatori scelgono una manciata di roba, la tirano fuori e creano l’evento. Che comprensibilmente viene pubblicizzato, DEVE attirare i tasmaniani, diventare occasione di consumo. Evviva !
Magari anche nella kermesse a qualcuno può capitare di cogliere un barlume del’assoluto.
L’arte nel frattempo si evolve: arrivano le opere composte da cumuli di pietre o spazzatura, o magari tavole imbandite impossibili da conservare, spostare, esporre e trasportare. Infine con l’avvento del digitale e del multimediale è veramente finita con i musei e le biblioteche, perché l’opera è immateriale ed illimitatamente riproducibile.
Quello che servirà in futuro sono dei conservatori per i macchinari preposti alla fruizione delle opere digitali, che mantengano in funzione l’hardware opportuno per poter rivedere nel XXII secolo un film IMAX, un videogioco per console PSII, un filmato betamax, un installazione per PC.
Questi se vogliamo possiamo anche farli decentrati, piccoli e silenziosi come vuole Citati. Oppure direttamente a casa nostra.