luoghi nonluoghi e dintorni

Il mio amico paolog sostiene che noi spesso crediamo di essere indipendenti, isolati e originali nel pensiero, in realtà siamo immersi senza che ce ne rendiamo conto in un flusso collettivo di idee, e gli esiti cui la nostra mente approda, i risultati che produce sono come convogliati, determinati, dal comune esperire e rifletterci.

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Barbara Pym, Quartetto in autunno

Lo osservava a proposito di una strana concomitanza che registravamo passeggiando verso la biblioteca civica di Vercelli, lui per avere in prestito due pubblicazioni dell’antropologo francese Marc Augé, segnalato proprio su questo blog da Doctor Sax, nei cui titoli è contenuto il termine-nozione di ‘nonluogo’, lo stesso termine che io avevo annotato da qualche giorno su un quadernetto di appunti che mi portavo appresso, e gli ho mostrato subito a riprova della verità di quanto asserivo: un termine che stava guidando una mia ricognizione di luoghi, exluoghi o ‘transluoghi’ (nell’accezione che gli ho dato di luoghi ‘mutanti’, che cambiano fruizione e utilizzo nel tempo) e, appunto, ‘nonluoghi’ (nel senso pressoché coincidente con il significato che gli dà Augé – paolog mi ha passato uno dei due libri avuti in prestito – di ‘contrario del luogo’, “…spazio in cui colui che lo attraversa non può leggere nulla della sua identità…”) ambiti e no del vivere e convivere e, ahimè, sopravvivere in un romanzo di Barbara Pym, scovato su una bancarella qualche tempo fa, “Quartetto in autunno”, dove si narra di quattro colleghi vicini alla pensione in un ufficio londinese degli anni settanta del secolo appena scorso.

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Scoiattolino nella pineta a Primošten/Capocesto, Croazia

Quando ho poi letto il post di Doctor Sax ho registrato un’ulteriore concomitanza: Augé è un africanista mentre la Pym, laureata in lingua e letteratura inglese, ha lavorato all’International African Institute come redattrice della rivista di antropologia “Africa”. Di questo sguardo antropologico, di questo metodo etnologico (e mi scapperebbe di togliere la ‘n’…) applicato alla realtà della civile e dignitosa e un po’ mesta, irredimibilmente solitaria ma ‘resistente’ urbanità londinese colta dalla scrittrice con acume preveggente – più di trent’anni fa – nella mutante realtà urbana, parlavo ai miei due amici di ‘tribù’ (etnologi e antropologi guardateci, siamo anche noi degna materia per le vostre osservazioni!), oltre al nostro paolog, coniglio – anfitrione sornione nonché condottiero delle nostre imprese vacanziere – cui avevo passato la lettura durante la nostra recente vacanza in Croazia, per la somiglianza della condizione dei personaggi del racconto con la nostra di eccentrici sodali non più giovanissimi, soli, solitari, indipendenti e un po’ delusi o disillusi dalla vita, in una città, Vercelli, un po’ luogo un po’ nonluogo un po’ transluogo come tante altre città di oggi.

La quotidianità del quartetto della Pym si snoda sullo sfondo di luoghi tipici e topici (oops!…) della modernità urbana, nella sua specificazione londinese così paradigmatica, i giardini, la chiesa, la biblioteca, il British Museum, i caffè, l’ospedale, i sobborghi, la stazione, la metro, le diramazioni stradali e ferroviarie; luoghi usati in modo proprio, tradizionale, istituzionale, talora improprio o personale o singolare, se non anomalo, sacrilego addirittura: nessuno, a parte Letty, che frequenti la biblioteca per leggere libri, semmai per dare una scorsa fugace ai giornali, o approfittare del fresco delle sale o addirittura depositare sugli scaffali e nei recessi carta e oggetti di cui liberarsi…

C’è pure il tema del viaggio come esperienza vagheggiata dell’altrove sempre sull’orlo della frustrazione e già, benché inconsapevolmente, smagata, nelle forme del piccolo cabotaggio via pullman o dello spostamento organizzato dalle agenzie, mercanti di un altrove come prodotto e non più esperienza e conoscenza autentiche e quello dei luoghi deputati dell’incontro che sono in realtà luoghi di solitudine o fruizione solitaria: il caffè “Rendezvous” dal nome così sintomaticamente ed esemplarmente menzognero (in “Disneyland e altri nonluoghi” Augé ragiona bene su promesse, finzioni, rappresentazioni, miraggi, intenzioni, ideali e idee sottesi, intesi, intrecciati, sovrapposti, imposti, ai luoghi del vivere, frequentare e visitare… ).

La domanda, forse scontata, non credo peregrina, che affiora è se sono più i luoghi a fare le persone e i loro rapporti o le persone e i loro rapporti a fare e volere i luoghi… e come e perché si creano i nonluoghi…

Ora mi fermo, perché ho bisogno di ragionarci ancora un poco. La mia valigetta di strumenti teorici, Doctor Sax, assomiglia piuttosto a una trousse per il trucco, da donnetta un po’ frivola qual sono e l’intelligenza probabilmente è altrettanto dimensionata, è questo il modesto e forse improprio equipaggiamento con cui intendo comunque raccogliere il suo intrigante invito ad una anthropologie du proche.

Intanto POSTeggio il POST, un po’ POSTiccio, perché paolog non continui a sospettare che non mi impegno a scrivere su Calomelano.

1 thought on “luoghi nonluoghi e dintorni

  1. Ahimé, la valigetta di strumenti teorici di un antropologo è oggi ben più spaziosa della mia o di quella di chi non pratichi quotidianamente la disciplina. Resto però convinto che il pensiero sia “uno” (ma non unico, per fortuna) e che possa giungere a risultati simili per vie molto diverse. Non useremo la terminologia corretta o scopriremo teorie vecchie di decenni, ma in fondo con un piccolo astuccio di attrezzi (e un pizzico di Zen) si può tenere in efficienza la propria motocicletta.

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