Dizionario filosofico: desideri

Ho recentemente visitato un paese islamico, durante il periodo di Ramadan: vorrei qui riportare alcune riflessioni sul modo di vivere dei suoi abitanti.   

La maggior parte delle persone che vivono in quel paese conforma, per scelta, i propri comportamenti a una precettistica religiosa fortemente limitante, specialmente nel periodo in questione. Non consumare alcolici, digiunare per l’intera giornata; per le donne: non potersi abbigliare con abiti meno che castigati; per uomini e donne: non potersi liberamente frequentare, non condividere gli stessi spazi, sui mezzi pubblici o nei caffè. Anche i visitatori occasionali devono sperimentare alcune (lievi) limitazioni alle quali non sono certo abituati. Questa pressione sociale è nota a molti italiani, almeno teoricamente, ma in generale è ormai lungi dall’influenzare le loro azioni.  

E’ noto come tutte le religioni, anche laiche, siano basate su un controllo dei desideri individuali, e che il senso di comunità (ma anche il potere) nasca proprio da questo controllo. All’opposto, la società dei consumi ha come unico precetto proprio l’appagamento di ogni desiderio, con l’unico limite della disponibilità economica. Essendo i desideri di natura prettamente individuale, il loro appagamento indiscriminato è anche causa di un disfacimento del senso comunitario e della disgregazione del tessuto sociale.  

Nella percezione dei più critici tra i musulmani, questa è la vera minaccia posta dall’espansione del modo di vita occidentale: la caduta dei valori comunitari, la perdita dei riferimenti culturali, e in ultima istanza la trasformazione della società in modo imprevedibile e ingovernabile. In effetti ho potuto verificare di persona molti aspetti positivi di quella società, come l’assenza di microcriminalità, nonostante la diffusa povertà, la curiosità e la gioia nell’incontro con l’altro, la propensione all’aiuto reciproco.  

E’ fuori discussione che la società dei consumi abbia portato in dote l’allargamento dei diritti individuali e l’abbattimento di molte barriere comportamentali, specialmente per le donne e per i rapporti tra i sessi. E’ dunque questo il modello migliore ? La scelta è tra l’appagamento di tutti i desideri (disponibilità economica a parte) e la loro mortificazione ? Oppure esiste una terza via ? Neo-francescanesimo e “decrescita felice” ? O, secondo il modello orientale, soppressione di ogni desiderio ?

3 thoughts on “Dizionario filosofico: desideri

  1. Ho riletto proprio questo week end ” Il mondo nuovo” di Aldous Huxley.

    In esso si narra di una società “perfetta” basata sul pre-condizionamento in feto suddiviso per classi. Ogni classe viene “condizionata” per poter essere “felice” desiderando solo e soltanto quello che è lecito per quella classe medesima.

    Nella società di Huxley, l’equilibrio è garantito dal soddisfacimento del desiderio e anzi viene ipotizzato che la causa dei disordini sociali derivi proprio dal sentimento che s’ingenera nell’animo umano tra quando un desiderio si manifesta e quando esso può essere soddisfatto.

    Con lo stesso tipo di ragionamento, i sentimenti tutti sono considerati disdicevoli. Tutte le classi sociali, ad esempio, vengono “condizionate” all’amore libero, non monogamico.

    Ogni comportamento “speciale”, dell’uomo come individuo isolato, è una minaccia per l’equilibrio sociale costituito.
    In questo quadro, la religione e gli accessi scientifici – non già tecnologici – sono banditi.

    La libertà percepita degli individui, la loro “felicità” sono termini positivi per l’uomo, non di privazione.

    Ma ancora, esse sono basate sulla limitazione della conoscenza del singolo e su un condizionamento pre-natale e poi sociale e addirittura chimico.

  2. In fondo la società descritta da Huxley non è molto diversa dall’attuale società dei consumi: i suoi membri sono sezionati per classi economiche e di età, e su questa base la pubblicità e i media in generale inducono i desideri di acquisto. Le minacce contro la società nascono nel momento in cui si desiderano consumi incompatibili con le proprie disponibilità economiche, che devono essere pertanto ampliate in modo illegale.

    La differenza sta nel condizionamento al consumo, che nella realtà è ottenuto facendo leva sulle “emozioni” e sull’unicità (almeno presunta) dell’individuo: nella società dei consumi pertanto sentimenti e individualità sono valori positivi. Il vero deviante ed emarginato è colui che è estraneo al consumo: immigrato clandestino, “senza fissa dimora”, disoccupato.

Lascia un commento