in…fatu(e)… AZIONI

Che occorrano segni, simboli, icone, gesti emblematici per ogni movimento umano è scontato, l’animo nostro, quello collettivo soprattutto, sembra aver bisogno, per compattarsi e impattare di emblemi, vessilli, bandiere, magari sciarpe o foulard da sventolare e agitare, giubbe e gabbane da indossare per poi voltarle e rivoltarle – o rattopparle – come i cappotti in tempo di guerra.

Onde verdi, fiorite, monocrome, tricolori e variopinte, lune e stelle, falci e martelli, strisce e bisce percorrono e hanno percorso il globo in movimenti e sommovimenti di varia sostanza e urgenza … e pugni alzati, mani agitate, slogan scanditi, braccia distese… (il post dalla Catalogna di Paolog documenta in chiave goliardica il recente e senz’altro sacrosanto movimento degli indignados che agitano in alto le mani aperte e ‘pulite’…)

Alcuni segni e gesti resistono, diventano durevoli e amati simboli, altri svaniscono o passano a significare, veicolare altri messaggi, idee, magari antitetici…

Mi chiedo da cosa dipenda… se dalla proprietà del vestito o del gesto o dalla natura del ‘corpo’…

Perché la questione vera è o dovrebbe essere che cosa simboleggi il simbolo, che cosa vesta il vestito… in altre parole che obiettivo e idea e ideale o battaglia voglia comunicare rappresentare… veicolare…trascinare…

Davvero non sempre son chiari gli intenti, più spesso son sovrapposti, intrecciati, confusi… come i simboli che dovrebbero rappresentarli.

Ho preso tempo per non soggiacere all’imperativo dell’”argomento del giorno” che tanto disturba il mio amico Paolo, sono passati parecchi giorni dall’evento senese del SE NON ORA QUANDO che riconvogliava, dopo le imponenti manifestazioni di piazza del 13 febbraio, le energie indignate delle donne in rivolta contro il disvalore imperante e l’immoralità delle istituzioni e del potere.

Credo che, ben oltre l’urgenza cronachistica, la questione che il fenomeno investe sia di maggior peso e di maggior momento…

Perché davvero, pur avendovi preso parte, anche attiva, non riesco a vederci ben chiaro in questa battaglia delle donne …se non l’indignazione e lo scontento che fermenta e si coagula in sussulti e rimostranze, polemiche e invettive…ma di chi…contro chi, che cosa? Per chi, che cosa? Soprattutto, da parte di chi?

Se battaglia civile, presidio di democrazia dev’essere perché – mi son subito chiesta – solo di femmine, perché solo le donne dovrebbero cavalcarli, talora, sospetto, strumentalizzarli…

Se il bersaglio è l’Italia dei disvalori….perché mai solo le donne dovrebbero scendere in piazza e sparare…agitarsi e agitare simboli e vessilli, vestire divise…

Ritorno ai simboli e agli slogan: bellissimi, fascinosi, geniali alcuni…ma talmente ambigui, sfuggenti, equivoci addirittura…come i messaggi e le idee che dovevano veicolare, mi viene il sospetto.

E soprattutto settoriali, se non settari, nei loro marcati tratti di genere: panni stesi con le mollette, bucato (di questi ultimi sono io la responsabile, come ho già confessato, li avevo ideati con tutto il relativo corredo metaforico per le movimentazioni vercellesi e me li son visti riproposti attraverso le foto della stampa sulla piazza senese, provando un sottile senso d’inquietudine mescolato alla lusinga), fiocchi rosa, gomitoli, fiorellini…, tutto l’armamentario con cui la storia, la cultura e la tradizione hanno irretito, impigliato, imbrigliato( imbrOgliato? ) e ingarbugliato in senso reale e figurato – la parte femminile dell’umanità…

E poi il colore rosa, così pericolosamente compromesso con un visione ‘baby’, leziosa e zuccherosa, così attaccabile ed effettivamente ‘attaccata’, criticata…

Quel rosa che si raggrumava e concretizzava in fiocchi e gale, nodi e ghirlande, nella varia e famigerata tipologia dell’intreccio aggraziato e femmineo, anche metaforicamente riproposto: l’Italia coi fiocchi, la giornata coi fiocchi, alludendo ad una nazione che nasce o meglio rinasce, al lieto evento di un paese rigenerato nell’onestà e purezza… ma fiocchi rosa, non azzurri… solo per bebè femmina…

Nella fucina vercellese del movimento si agitavano altre fascinose e suggestive idee: Francesca lanciava nel tempo di Carnevale, coincidente quest’anno con la ricorrenza dell’otto di marzo, l’idea del travestimento da fatine – cappello a punta e velo di tulle, rigorosamente rosa, manco a dirlo – con cui aggirarsi nella notte in provocatorio incognito a infiocchettare di fiocchi rosa la città…

Idea di impareggiabile suggestione e poeticità, come tutte le idee di Francesca, ma ad altissimo rischio di comicità involontaria ed esposta ad ogni possibile ludibrio e scherno maschilista…basti pensare all’intercambiabilità nell’immaginario collettivo di fate e streghe… se non alle fattucchiere, da sempre simulacri del femminino negativo insidioso e pericoloso…

Prendendo scherzosamente le distanze mi dichiaravo preoccupata per la mia acconciatura costretta nel cappellino a cono di cartoncino e per il rischio di assomigliare più a Maga Magò con i miei ricci medusei che alla fatina buona dell’iconografia delle fiabe…o peggio, per le forme tondeggianti che l’età avanzante mi sta regalando, ad una delle tozze e buffe fatine disneyane del cartone “La bella addormentata” (avete presenti Fauna, Flora, Serena?) .

Senza contare l’insidia segnica contenuta nel corredo iconografico e nella strumentazione che accompagna le fate, la bacchetta magica, in particolare: se Francesca proponeva di alludere alle cinematografiche “Fate ignoranti” parafrasandole in ‘fate sapienti’ o qualcosa del genere, io non riuscivo a togliermi dalla testa espressioni (ed immagini) quali ‘fate bacchettanti’ o peggio ‘bacchettone’ (sarà che sono un’insegnante…) dunque ‘fate saccenti’ più che sapienti o ancor peggio, con facile contrazione ludolinguistica, ‘baccanti’…(orrore!)

La sera deputata ho provato a defilarmi con tutte le scuse ed espedienti, una cena per salutare un amico in partenza, la stanchezza… finché mi sono decisa a raggiungere le compagne in piazza… avevano continuato a messaggiarmi per coinvolgermi e indicarmi percorso e azioni…

La piazza era vuota e buia, faceva freddino, non c’era anima viva…altro che confondersi tra la folla come aveva immaginato Francesca…loro sono arrivate alla spicciolata, armate di scotch, forbici, fiocchi, tulle e nastri… i cappelli a punta in testa, talora un po’ goffamente aggiustati – una di loro lo aveva calato sopra la cuffietta ottenendo una pittorica foggia di dama medievale – o sotto braccio per timidezza e pudore… niente di esagitato, esibizionistico… mi son ricordata di certe azioni e situazioni lontane di quando ero ragazza, con le mie amiche, un po’ ingenue, le letterine e gli addobbi per le feste fatti in casa, il ricamo dalle suore, il banco di beneficenza allestito in povertà di mezzi… però con volontà, grazia, dedizione, cura del particolare, attenzione… le vere doti femminili…

Paolo, l’amico che avevamo festeggiato prima che partisse per il Vietnam, cinico e irridente per stile e metodo, si è commosso per primo e la mia ipercriticità solipsistica è andata in scacco… mi sono vergognata e commossa guardando Mariella, attivista intelligente e sensibile, appuntare alle facciate e agli archi i raffinati fiocchi-ghirlanda di tulle rosa che lei stessa aveva confezionato insieme alla figlia: nella notte poco illuminata l’addobbo delicato non aveva nulla di lezioso, tenui ragnatele evanescenti e impalpabili, piccole magie di grazia ineffabile, elegante, maliosa fascinazione… nella loro leggerezza segni fortissimi di suggestione potente…durevole nella mia memoria.

Non so dire che cosa simboleggiassero ma conservo quasi religiosamente appeso alla porta di casa uno di quei fiocchi, me l’ha regalato proprio Mariella il giorno dopo, quando per rimediare alla defezione della sera prima mi sono offerta, contrita, di aiutare a smontare l’addobbo allo scadere del permesso concesso dall’amministrazione cittadina.

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