Buone nuove dalla Catalogna

Di questi tempi dell’Europa arrivano tante brutte notizie:

Alla fine si parla sempre di una classe politica mediocre (dall’inconsistenza di Theresa May all’autoritarismo di Kaczyński, Orbán ecc.), del riaffiorare dei nazionalismi e del prevalere della legge del più forte e degli egoismi a scapito del principio di solidarietà.

Di fronte a questo stato di cose, il risultato delle elezioni in Catalogna è una vera boccata d’aria fresca.
Non può non suscitare simpatia un movimento popolare, colorato, giocoso, ingenuo e pacifico che potrebbe addirittura arricchire l’Unione Europea con una nuova repubblica laica, dinamica ed aperta al mondo, riportando l’Unione orfana del Regno Unito al numero di 28 paesi.

E anche se questo non si verificasse, questo movimento potrebbe dare molti spunti positivi alla Spagna, per fare finalmente i conti col passato fascista, riformare la monarchia borbonica (!) e riflettere sulla mediocrità della classe politica (sia di questo Rajoy incapace di gestire la crisi sia di quei dilettanti degli indipendentisti).

Ma ce n’è anche per l’Europa, perché la crisi catalana se ci pensate bene mette al centro due problemi fondamentali: l’equilibrio tra gli interessi dei paesi piccoli e quelli grandi e il principio di solidarietà.

Se ripensiamo gli ultimi trent’anni di storia dell’unione europea, non si può dire che i confini tra gli stati siano rimasti immobili ! I tre eventi principali sono stati la riunificazione tedesca, la scissione della Cecoslovacchia e il disfacimento della Jugoslavia: tre eventi ben diversi, l’ultimo molto cruento. Due fatti in particolare se ci ripenso a distanza di tanti anni mi fanno riflettere:

  1. la riunificazione tedesca (1989) è stata di fatto l’adesione istantanea di un paese di 17 milioni di abitanti all’UE, sulla base di una comunità linguistica (germanica) e dei confini del sacro romano impero (???), mentre gli altri paesi dell’ex blocco sovietico hanno dovuto aspettare anni: Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia e Ungheria: 2004, Bulgaria e Romania: 2007 e Croazia: 2013
  2. l’immediato riconoscimento (1991) da parte della Germania dell’autoproclamata indipendenza di Slovenia e Croazia, che ha lasciato gli altri ex stati federali a sbranarsi tra di loro.

E dunque quale Europa ci consegna questo trentennio ? È un Europa dei grandi stati nazionali !

I quattro stati più popolosi pre-brexit sono Germania (82 milioni = 16%), Francia (67 milioni = 13%), UK (65 milioni = 13%) e Italia (61 milioni = 12%).
Per confronto, in USA i quattro stati più popolosi sono California (39 milioni = 12%), Texas (27 milioni = 9%), Florida (20 milioni = 6%) e New York (20 milioni = 6%).

Mi sono preso la briga di riprendere lo scenario dell’Unione Europea a 34 (dopo l’indipendenza di Catalunya, Euskal Herria, Scotland, Vlaanderen, Bavaria e Tirolo) e di confrontare la distribuzione di dimensione di questi 34 stati con i 28 UE pre-brexit e con i 50 stati che compongono gli USA:

In USA la maggior parte degli stati ha 5-20 milioni di abitanti. In Europa invece neanche dando spazio ai movimenti autonomistici è possibile riequilibrare i pesi relativi tra gli stati. Il problema principale dell’Europa è che ci sono degli stati nazionali molto ingombranti, con manie di grandeur o di pan-germanismo, invischiati in una storia millenaria di imperi, dinastie e guerre incessanti.

Invece se l’UE fosse costituita da tutti stati di 20 milioni di abitanti o meno, non potrebbe esistere senza un principio di solidarietà.
Infatti solo così i tedeschi più fortunati potrebbero aiutare i loro cugini dell’est, l’Italia del nord il mezzogiorno e i catalani l’Andalusia. Con la differenza di una maggiore equità, perché in quel caso anche i greci avrebbero diritto alla solidarietà !

Anche l’obiezione che gli stati piccoli non avrebbero posto in un mondo globalizzato è strumentale e inconsistente, perché grazie all’unione monetaria, doganale, del mercato del lavoro e delle normative tecniche l’UE si presenta al mondo come un blocco politico ed economico di tutto rispetto, indipendentemente dalla dimensione degli stati che la costituiscono.

Al contrario, indebolendo gli stati nazionali è probabile che si possa procedere in modo più serrato con gli elementi mancanti dell’unione: l’integrazione sociale, la politica estera comune, il diritto di voto completo (e non solo alle elezioni comunali) ai residenti in altro stato nell’unione, il completamento dell’unione bancaria e l’emissione di obbligazioni europee, la difesa comune, i servizi segreti comuni ecc.

In conclusione, osservando le reazioni europee alla vicenda catalana, è evidente che si applicano due pesi e due misure.
C’è molta ignoranza nel resto d’Europa su quello che sta succedendo in Catalogna, e la copertura mediatica è molto sbilanciata verso gli unionisti perché molti stati temono che si inneschi una spirale di autonomie e indipendentismi.

Penso invece che mantenere una visione aperta possa trasformare questa crisi in un’opportunità.