Trilussa e i prosumers di giornalismo

Nel post di ieri scrivevo che in media gli italiani spendono 140 €/anno a testa per informarsi, di cui 60 sono “obbligatori” per tutti, mentre i restanti 80 variano da persona a persona in base alla legge di Trilussa.

Come in tutte le abitudini di consumo, c’è chi spende poco, molto o moltissimo.

Però va detto che nel caso del consumo di giornalismo, ci sono dei limiti a quanto uno può spendere, perché il vero limite è il tempo che ci vuole poi a leggere e digerire le notizie.

In altri settori il consumismo non ha limiti. Ad esempio si può comprare un’auto nuova con 6000 Euro, ma se ne trovano anche alcune da 2 milioni, e chi si compra quest’ultima spesso ne compra due o tre, quindi il rapporto povero/ricco arriva a 1:1000 e oltre. Stessa cosa con abiti, vino, opere d’arte, borsette …
Invece per quanto riguarda l’informazione il massimo che si può spendere è diciamo 2000 Euro all’anno, quindi il rapporto taccagno/spendaccione arriva al massimo a 1:30.

Ma chi consuma molta informazione (power user) può diventare un prosumer (professional consumer), cioè uno che condivide, commenta, filtra, suggerisce … in altre parole un curatore di contenuti. Questo è un ruolo benefico, perché aiuta le altre persone che hanno meno tempo a essere meglio informate, tant’è che una delle cose principali che deve fare un giornalista oggi è anche fare il curatore di notizie. Nella terminologia di Marco dal Pozzo, il prosumer che diventa curatore aumenta il Capitale Sociale !

Mi ha fatto sorridere questa recensione di Blendle (l’app olandese soprannominata l’iTunes delle notizie) che si basa su una tariffazione a consumo (50 cent per ogni articolo); l’utente che evidentemente era un prosumer si è fatto prendere la mano al punto che se avesse tenuto lo stesso ritmo per un anno avrebbe speso 1700 Dollari, che di per sé sarebbe stato anche equo, però disincentiva !

Per migliorare la situazione dell’ecosistema informativo conviene incentivare il prosumer, non punirlo. Un modo per far ciò è scollegare il prezzo pagato dalla quantità che uno consuma, con una tariffazione flat. Così come nei ristoranti eat-as-much-as-can c’è un limite fisico a quanto uno può mangiare, anche qui c’è un limite (il tempo che ci vuole) all’informazione che una persona può consumare, quindi non c’è il rischio di andare un bancarotta.

Lascia un commento