Come ripartire con un dialogo costruttivo tra utenti e ICT

Questo testo è un contributo al tentativo di ri-avviare un dialogo costruttivo tra società civile e Tecnologia dell’Informazione e della Comunicazione (ICT). L’ambizioso obiettivo di questo dialogo è azzerare 30 anni di evoluzione dell’Internet come la conosciamo (centralizzata e mercificata, centrata sull’e-commerce e sull’advertising). Vorremmo ripartire con una progettazione partecipata per adeguare le piattaforme tecniche alle effettive necessità di interazione sociale, far evolvere i sistemi tecnici nell’interesse degli utenti, e di pari passo far evolvere i processi cognitivi degli utenti in modo da innescare processi di apprendimento in rete.

Propongo di partire da un’analisi e segmentazione degli stakeholders (portatori d’interesse) che dovrebbero partecipare a tale dialogo; ciò dovrebbe essere utile per capire come configurare la strategia di comunicazione in questa fase di avvio.

Gli stakeholders si possono raggruppare in 3 categorie:

  1. utenti dell’ICT
  2. tecnici costruttori dell’ICT
  3. volontari dell’open source (perché volendo immaginare una tecnologia progettata in modo partecipativo con gli utenti, si immagina che sia open source).

Cominciamo dagli utenti.

Quando un utente decide di usare uno strumento ICT l’obiettivo è sempre risolvere un problema contingente (es. scegliere dove andare a mangiare una pizza o organizzare una partita a calcetto) ma sullo sfondo ci sono delle esigenze umane più generali, che si possono riassumere col principio del piacere. L’essere umano vuole star bene e sentirsi accettato dai propri simili, e naturalmente non vuole soffrire. Per raggiungere l’obiettivo contingente di cui sopra quindi, le sue scelte tecnologiche saranno conformistiche (non vado contro la massa dei miei simili, mi fido delle scelte fatte da altri), autonome (o illusoriamente tali, l’importante è aver la sensazione di aver fatto una scelta libera) e orientate alla “convenience”, cioè la soluzione più facile, indolore, priva di attriti e in generale che non richiede mettersi in gioco.

Questa ricerca della soluzione più “convenient“ è la versione non monetaria del “cheap”.

Il software “convenient”, è quello che scherma l’utente dalla materialità dell’hardware, dal ronzio assordante dei data-center, dalla fatica materiale immane che i tecnici costruttori devono mettere in atto per far funzionare tutto in maniera impeccabile, per dare a noi utenti (che siamo degli asini) la sensazione illusoria di controllare il mezzo, di destreggiarci come dei maghi tra un’app e l’altra, di ordinare le nostre pizze e condividere i nostri video di gatti facendo un figurone con gli amici.

Tornando all’utente come stakeholder, da quanto detto, o offri un’alternativa altrettanto gioiosa desiderabile, oppure devi mettere in piedi una religione completa di peccati, divinità punitive e inferni per controbilanciare il principio del piacere col senso di colpa o la vergogna.

Passiamo ai tecnici costruttori dell’ICT.

Il driver principale di questo gruppo sociale è economico: devono lavorare per mangiare. Guadagnano tutti dignitosamente, ma guadagnano bene e hanno i benefit solo quelli che lavorano per le aziende più prestigiose o in più rapida espansione. Le grandi multinazionali fanno a gara per accaparrarsi i più bravi con le start-up che girano a mille, drogate dal denaro facile del venture capital.

In quanto nostro stakeholder quindi il tecnico vuole avere delle conferme della sua utilità sociale, e del suo benessere economico. L’etica non è un argomento che fa presa su molti.

Infine vediamo i volontari dell’open source.

Questa categoria in parte si sovrappone alla precedente, nel senso che spesso le persone che di giorno sgobbano all’interno del sistema per guadagnarsi il pane, di notte o nel tempo libero contribuiscono su base volontaria ai progetti open source. Questo per puro utilitarismo, perché l’open source offre dei vantaggi (formazione professionale, networking, vetrina/portfolio delle proprie capacità) per chi lavora nell’ICT.

Solo una parte di costoro è in fissa sugli aspetti ideologici dell’open source. Ma qual’è poi l’ideologia dell’open source (o del free software, la sua versione più radicale) ? Non è altro che la richiesta di trasparenza del software, per poter imparare da e copiare i sistemi fatti da altri, usandoli per i propri fini senza vincoli. L’unico contenuto etico è legato alla redistribuzione della conoscenza, ma al di la là di questo non c’è altro. Col software libero sei libero di arricchirti, costruire missili o sistemi per organizzare lo spionaggio massivo delle persone, quello che vuoi.

Salvare la terra, gli esseri umani o la categoria professionale dei giornalisti non sono le priorità dell’open source.


Ecco, dopo questa analisi si può tornare al dialogo che vogliamo bootstrappare. Il dialogo per coinvolgere tutti questi stakeholders li deve stuzzicare tutti, fin da subito: ci deve essere qualche appiglio che susciti interesse e risuoni per ognuno di essi.

In particolare se davvero si vuole coinvolgere le masse, il dialogo deve poter essere vissuto come una gita della domenica e non come un trekking estremo.

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