La scuola, Baricco e il potere

Man mano che escono gli articoli della serie “Mai più” di Alessandro Baricco (qui il primo e qui il secondo), la puzza di bruciato aumenta, insieme al sospetto che dietro alla cortina di fumo ci sia una fregatura; è anche già apparsa una dotta replica “La scuola di Alessandro Baricco è un giochetto pericoloso” di cui consiglio la lettura.

L’argomento mi sta a cuore, quindi vorrei fermare qui, nero su bianco, alcune riflessioni.

Ci sono tre fasi nella storia della cultura umana: una orale, una scritta e una digitale.

Nella prima fase, la trasmissione della conoscenza era basata sulla parola parlata, e sulla memoria individuale (pensate a Socrate ma non il calciatore, l’altro).

Con l’invenzione della scrittura prima e della stampa poi entriamo nella seconda fase, in cui la memoria si sposta nei libri e nelle biblioteche, e la produzione di sapere aumenta smisuratamente di volume, permettendo l’accumulo da una generazione alle successive. L’apoteosi dell’intelligenza novecentesca è Umberto Eco che si alza dal tavolo, cammina nei meandri della sua enorme biblioteca fino a prendere un tomo, da cui vuole estrarre una citazione. Il ruolo del sapiente diventa quello di trovare i libri giusti da citare, collegarli tra loro e aggiungere il suo contributo al mucchio.

In questa fase, il potere si esercita nel controllo dei mezzi tecnici per la riproduzione della parola scritta.
Inizialmente la chiesa nei monasteri, e poi lo stato controllano questo potere.
Emergono degli intermediari (gli editori) che decidono chi pubblica cosa e che costruiscono il business della cultura, grazie al diritto di autore.
Giova qui riportare l’articolo 662 del Codice Penale, abrogato nel 1994 (!):

Chiunque, senza la licenza dell’Autorità o senza osservare le prescrizioni della legge, esercita l’arte tipografica, litografica, fotografica, o un’altra qualunque arte di stampa o di riproduzione meccanica o chimica in molteplici esemplari, è punito con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda da lire sessantamila a un milione.

In questo sistema per il controllo della trasmissione e produzione della cultura si inquadra la scuola pubblica. A margine del sistema capitalistico, ma in sinergia con esso, lo stato per mezzo della scuola controlla cosa entra nelle testoline delle bambine e dei bambini, grazie ad un esercito di insegnanti a loro volta precedentemente indottrinati.

La scuola pubblica che esiste oggi in un paese democratico come l’Italia è l’apice di un processo di negoziazione ed evoluzione lungo e doloroso, tra intellettuali, politici, sindacati, preti etc.

I bambini imparano a recitare il Corano a Gorgan, provincia del Golestan, Iran – foto di agenzia stampa Tasnim


Ma anche se la scuola è gratuita, l’istruzione non lo è, perché le famiglie devono sostenere il costo dei libri di testo.

Nella terza fase, quella digitale, in cui stiamo entrando, i mezzi tecnici permettono di spostare, archiviare ed elaborare l’informazione in un modo nuovo e a costi bassissimi.
Il potere ora si esercita controllando l’accesso alla piattaforma, che sia un mercato online, una rete sociale o il device dove vengono usufruiti i contenuti. I vecchi intermediari non sono più necessari: gli editori diventano qualcos’altro, delle società di servizi di comunicazione e di editing …

Uno dei settori dove oggi ci troviamo più avanti in questa traiettoria è la musica: qui con una spesa minima è possibile tastare con la mano il nuovo mondo.

Entrate in Spotify e davanti ai vostri occhi si aprirà una biblioteca (quasi) universale di tutta la musica prodotta e registrata nel mondo. Gli artisti e le loro discografie sono facilmente accessibili, noterete però che da nessuna parte appare più la casa discografica, il ruolo dell’editore è eclissato dalla piattaforma. Passato lo stordimento iniziale, ci si rende conto di aver bisogno di un’aiuto per trovare un percorso in questo sterminato mare. L’algoritmo viene in nostro soccorso suggerendo cosa potrebbe piacerci. È possibile seguire i consigli degli esperti, seguire il critico X e l’influencer Y. Da parte sua la piattaforma osserva i comportamenti di tutti gli utenti e accumula conoscenza. Immaginate se una simile piattaforma contenente al suo interno tutto lo scibile umano venisse usata nella scuola. Tutta l’intelligenza degli insegnanti e tutta la curiosità degli studenti verrebbe sfruttata dalla piattaforma per tracciare i loro percorsi e appropriarsi dell’essenza stessa del processo di apprendimento e di creazione della conoscenza.

Adesso possiamo tornare alla domanda-chiave: che cosa fare della scuola nell’epoca del sapere illimitato?

A questo punto della storia nessuno può saperlo, quel che è certo è:

  • nel ring per il controllo della conoscenza oltre ai soliti (chiesa e stato) sono scesi anche dei nuovi attori: le piattaforme
  • se vogliamo creare questi benedetti interstizi protetti dalla reinterpretazione capitalistica, bisogna disincagliare il diritto d’autore
  • e soprattutto, prima di buttare il bambino con l’acqua, cioè demolire insieme al vecchio sistema novecentesco anche la scuola pubblica democratica e universale, bisogna intendersi bene su cosa ci mettiamo al suo posto. Vogliamo andare verso la privatizzazione e l’individualismo?