Ci sono delle notizie di secondo piano che si perdono nella bagarre, e che invece sono manifestazioni significative dello spirito del tempo. Una di queste è la loudness war. Tutti più o meno ci siamo accorti che la musica su qualsiasi supporto e canale (radio, CD, DVD) negli ultimi lustri è diventata sempre più ad alto volume: sono spariti i pianissimi e le dinamiche, anche quando c’è una parte sussurrata il volume resta alto. Quando la musica negli anni ottanta è entrata nel mondo digitale, il livello sonoro massimo è diventato un soffitto duro sul quale tutti sbattono la testa, mentre nel precedente mondo analogico dei dischi di vinile e delle cassette il limite era “morbido” e ciascuno poteva saltare alto quanto voleva. Secondo alcuni in realtà è colpa del pubblico, che ascolta sempre più radio e musica in ambienti rumorosi con le cuffie. Altri danno la colpa ai musicisti che farebbero a gara affinché il proprio disco suoni “più forte” di quello dei concorrenti.
Sia come sia, è una tendenza che fa riflettere. Manifestazione dell’horror vacui, la paura del vuoto, del silenzio ? Metafora del traffico autostradale nell’era del tutor, con tutti che marciano affiancati a centotrentavirgolauno km/h ? Forse anche noi vorremmo andare al massimo.
Ci fa riflettere sui limiti “duri” e i limiti “morbidi”. Ogni volta che c’è una discontinuità nel premio o nella punizione, che cambia repentinamente al superamento di un limite, il comportamento delle persone si allinea e si cerca tutti di stare sulla lama del rasoio. Esempi di limiti duri: età pensionabile fissa, maggiore età, tenore d’alcol nel sangue, velocità massima, no tax area quando c’era… Sarebbe meglio invece avere dei limiti “morbidi” con il premio o la punizione che aumenta gradualmente al crescere dell’entità del superamento.