Fin qui ho descritto, senza pretese di completezza, forme di espansione demografica violente, che definirò: invasioni, colonizzazioni esterne ed interne. Esistono anche forme di espressione delle forze demografiche più pacifiche, anche se i risultati non sono meno drammatici dal punto di vista storico: ne porterò due esempi.
La prima, che chiamerò espansione interna, si verifica in regioni appartenenti alla medesima entità statuale, ma abitate da popolazioni diverse etnicamente e culturalmente. La maggiore prolificità di una parte degli abitanti (spesso la meno abbiente e secolarizzata) provoca squilibri e ridefinizioni dell’identità complessiva. In Siria e in generale in molti Stati del Medio Oriente, la popolazione cristiana è molto diminuita in rapporto a quella musulmana; nell’intera area i cristiani, che erano nel 1914 più di un quarto della popolazione, rappresentano meno del 9% degli abitanti. Lo stesso fenomeno sta avvenendo in Israele, che, nonostante le colonizzazioni forzate (interne ? esterne ?) della Cisgiordania si avvia a diventare uno stato a maggioranza araba.
Da ultimo, le migrazioni moderne, da Stato a Stato, le cui destinazioni principali sono state le Americhe, ancora spopolate all’inizio del XIX secolo (poco più di 30 milioni di abitanti), e, nel secondo dopoguerra, i paesi del Nord Europa, anche in seguito alla decolonizzazione. Oggi tali movimenti sono in massima parte diretti verso i paesi sviluppati: Stati Uniti, Europa Occidentale, Australia.
A eccezione di quest’ultima, le altre forme descritte si caratterizzano per un sostanziale vantaggio di chi gioca in trasferta: le armi, il numero, la forza dello Stato rendono ineluttabili questi movimenti di popoli. I cambiamenti culturali e linguistici seguono invece percorsi diversi, dipendenti dalla forza relativa delle culture in gioco.
Fino a oggi le migrazioni moderne non sono state quasi mai ostacolate o combattute in sé; semmai i migranti, la parte più debole, hanno dovuto subire discriminazioni e violenze, ma in ultima analisi sono riusciti a integrarsi e a contribuire alla crescita dei paesi ospiti. Ora è proprio il fenomeno migratorio nella sua interezza che i paesi occidentali stanno mettendo in discussione, grazie alla forza degli apparati statali. Al di là degli aspetti etici, mi domando:
- perché solo ora, dopo decenni di migrazioni, il problema emerge con questa forza ?
- si tratta di una battaglia per l’egemonia culturale oppure per l’utilizzo di risorse limitate, e in ultima analisi per la conservazione dei livelli di vita materiale raggiunti ?
- il fenomeno è davvero arginabile o nel medio periodo, con l’ulteriore aumento della popolazione mondiale, soprattutto in Africa e Asia, risulterà ineluttabile ?
- il cambiamento degli equilibri geo-economici, con l’incipiente egemonia di Cina e India, muterà la destinazione dei migranti ?
[2 – Fine]
Di espansioni interne dalle mie parti ne sappiamo qualcosa, da quando c’è stato bisogno di mondine nella bassa o di operai a Torino. Ma non sempre l’espansione porta a medio termine all’imporsi dell’identità dei nuovi arrivati.. tant’è che la veneta o il siciliano si sono naturalizzati. Anche nel caso delle invasioni a volte la storia si ritorce contro gli invasori; il duello tra le culture si combatte nei decenni successivi, e chi propone di ritornare ai fondamentalismi nostrani lo fa proprio perché pensa di doversi attrezzare a questa guerra di trincea. E cosa meglio di quelle armi di distruzione di massa dei monoteismi per tenere vivo il ricordo del medioevo ?
La cosa buffa è che almeno qui non è un problema di risorse limitate, anzi il problema è che non si bruciano abbastanza risorse e forse gli immigrati li facciamo venire più per consumare che per produrre (e con tutti quei figli e quella voglia di progresso, consumano parecchio in effetti).
In effetti la demografia è anche fatta dagli italiani col pedigree che non si riproducono più e si estingueranno comunque, immigrati o no.