Dal Quaderno d’Africa di Lorenzo Fontana (Etiopia 2005, www.ps76.org)
Felicità
Non riesco proprio a scacciare questo chiodo fisso della felicità.
Se un sistema di vita ti porta alla felicità, può essere del tutto sbagliato?
Intendo dire: non è difficile, da queste parti, trovare difetti nelle consuetudini, negli usi, nelle tradizioni, nei modi di comportarsi.
Eppure tutto questo sistema li porta alla felicità. Come è possibile?
Perché qui la gente ride e si diverte, gioca, canta… Come mai non esistono casi di depressione o di suicidio… E i vecchi non vengono abbandonati e nessuno è solo e le coppie fanno tanti figli…
Davvero sono loro ad avere bisogno del nostro aiuto?
Perché il più alto grado di benessere, il miglioramento della qualità della vita e l’estensione delle aspettative della stessa dovrebbero essere categorie da considerare superiori alla felicità?
Non è giusto venire qui a dare una mano a questo modo qui, se gli portiamo la “cultura del lavoro”, il “senso di responsabilità”, la “voglia di progresso”… Ecco, così gli togliamo questo dono prezioso che hanno, l’unico che hanno ricevuto. È giusto?
Come possiamo permetterci di partire dal presupposto che noi stiamo meglio di loro? Siamo noi quelli tristi, quelli soli, quelli deboli.
Nel progredire, non è mai passato per la testa a nessuno che oltre la velocità, anche la direzione giusta ha una sua importanza? E la nostra lo è davvero? Lo è universalmente?
Uno si aspetta di trovare risposte, e invece non ci sono altro che domande, in qualunque angolo del mondo e dell’intelletto.
Canta che ti passa…..
Ecco, qui mi sento chiamato in causa e mi tocca dire due cose.
Pur dicendo delle verità, questo signor Lorenzo Fontana semplifica un pochino, temo.
Indubbiamente in Africa esistono persone felici (come del resto ovunque), ma c’è da chiedersi se quello che vediamo esprimere dagli Africani è davvero felicità oppure qualcosa che a noi del primo mondo sembra felicità. Non dimentichiamo che culture diverse hanno valori diversi ed esprimono le emozioni in modo diverso.
L’Africa, soprattutto per gli Africani e anche di più per gli Africani Neri, è un paese duro. Un paese dove la vita è breve, e quel poco che vivi tipicamente lo vivi male. Tra le tante miserie come la povertà, le guerre, droga e alcoolismo, il malgoverno e la corruzione, le malattie (di quelle brutte, in molti paesi dell’africa la percentuale di malati di AIDS è incredibilmente alta: 25% in SudAfrica, 16% in Mozambico) c’è poco da star contenti.
Aggiungo la cultura tribale che è alla base della società Africana e che ammette lo schiavismo, la prostituzione (possibilmente minorile), che discrimina fortemente e pratica allegramente il genocidio in mille forme e colori. Insomma non proprio semplici difetti nelle consuetudini, usi e tradizioni…..
E non si cada nell’errore di pensare che l’uomo bianco sia la causa di tutti I mali dell’africa, il tribalismo naturalmente è sempre esistito, ed è sempre stato come lo è ora, un sistema crudele e classista che utilizza la forza e la superstizione come strumenti di potere.
Ammetto che vivendo un po’ in Africa si possa avere la sensazione che gli Africani siano “felici”, sicuramente hanno una forza d’animo particolare, una sorta di atteggiamento ottimistico nonostante tutto che riescono a trasmettere con grande facilità. Ma penso che sia quasi offensivo pensare che il “Sistema Africano”, che provoca deliberatamente tanta sofferenza, porti alla felicità.
Non credo, ad esempio, che siano felici gli albini in Tanzania che recentemente sono stati oggetto di persecuzioni perchè sostazialmente si pensa portino sfiga. E quando dico persecuzione, intendo massacro sistematico.
Non ho letto il lavoro di Fontana, che spero un po’ più approfondito, ma pensare che cantare, ballare, ridere, giocare, fare figli e rispettare gli anziani siano segni di una società felice mi sembra un po’ naif e voglio ricordare che per gran parte del mondo proprio gli italiani (così tristi e depressi) sono emblema di spensieratezza, felicità e di valori familiari.
Detto questo, è facile essere d’accordo con il fatto che il progresso e la cultura del lavoro di per sè non portano la felicità e che probabilmente una vita più semplice sia la via da percorrere.
Forse, quella che sembra felicità negli Africani, è in realtà fatalismo. Forse deriva dalla rassegnazione al fatto che comunque un sistema che sta in piedi da sempre non si può cambiare, per cui perchè crucciarsi.
E forse qui potremmo imparare qualcosa: invece di ammattire a cercare il modo di cambiare il mondo (il nostro e quello degli altri) dovremmo accontentarci e godere un po’ di più di quello che abbiamo. La sana vecchia saggezza popolare del chi si contenta gode.
Il sistema occidentale non è sbagliato ma è gestito terribilmente e tragicamente male. In tutti I sistemi politici, le filosofie, le religioni esistono valori positivi, cercare altrove risposte ai nostri problemi significa non volerli affrontare. Non è necessario diventare Buddisti per provare compassione come non è necessario diventare Rastafari (dottrina religiosa che ha origine in Etiopia, guarda caso) per essere felici, magari fosse così semplice.
Sulla questione di chi ha bisogno di aiuto la risposta è semplice e una sola: tutti.
Sulla questione degli aiuti dell’Occidente all’Africa meglio lasciar stare…. magari un altra volta.
Per chi non lo sapesse, roneg è il nostro corrispondente dal Mozambico.
Sui temi dell’Africa, dell’agricoltura e del cibo, è molto istruttivo leggere un articolo di Massimo Fini, inizialmente pubblicato su “Il fatto quotidiano”, e successivamente citato in molti siti: “Quando l’Africa era davvero nera non moriva di fame” (http://politicaonline.ipbfree.com/index.php?showtopic=11895).
Ove si parla anche dell’acquisto di terre coltivabili in Africa da parte dei governi sovrani di Cina, Corea del Sud, Giappone, stati del Golfo.
Prima gli arabi, poi gli europei, ora gli asiatici: ma quando l’umanità smetterà di sfruttare l’Africa ?