Energia e rischi

Barili, litri, galloni, tonnellate: ci sono tante unità per misurare la quantità di petrolio disperso nel mare a seguito dell’incidente nel Golfo del Messico, ma è difficile da stimare in qualsiasi unità di misura: ad oggi, oltre 40 giorni dopo l’incidente, le stime oscillano tra 77000 metri cubi e un valore otto volte maggiore (per rendere intuitivo questo numero: lo si potrebbe stivare in uno stadio di calcio dove formerebbe uno strato dello spessore di 10 metri sul campo da gioco).

Più terribile ma più inequivocabile il bilancio in vite umane: 11 morti.

E’ relativamente semplice anche dare un valore economico al danno subito da BP per la faccenda: basta guardare l’andamento dell’azione.
BP_USD

Confrontando l’azione British Petroleum con quella della società più grande al mondo nel settore petrolifero (Exxon Mobil) e con il prezzo del petrolio (in modo da depurare il calo nell’azione BP dagli effetti contingenti), si può valutare un deprezzamento del 15%, che si traduce (sulla base della capitalizzazione di BP) in 20 miliardi di dollari. Un quantitivo di denaro sufficiente a costruire tre centrali nucleari.

Dopo incidenti come questo (11 morti) o l’esplosione del convoglio di GPL a Viareggio dell’estate scorsa (31 morti) l’opinione pubblica è forzata a riconsiderare le soglie di accettabilità del rischio, che si sono abbassate con l’andare del tempo almeno per le fonti di energia convenzionali.

Va detto che eventi  simili, di portata più limitata ma complessivamente confrontabili con il disastro in corso sono avvenuti e avvengono lontano dai riflettori dei media e dall’attenzione di presidenti telegenici, si veda l’articolo “Nigeria’s agony dwarfs Gulf oil spill” di John Vidal sul Guardian di domenica scorsa.

Paradossalmente, da questi fatti ne trarrà giovamento la lobby nucleare !

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