“Non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio.” (Manuele II Paleologo, riportato da Theodore Khoury)
Vorrei suggerire una lettura inusuale, che alcune circostanze mi hanno permesso di affrontare. Si tratta del discorso che Papa Ratzinger ha pronunciato nel 2006 all’Università di Ratisbona, che considero interessante per credenti di diverse religioni, e non credenti.
Alla scala del nostro tempo appare piuttosto datato, ma alla scala millenaria della Chiesa Cattolica permane attualissimo. Si tratta dell’occasione in cui Benedetto XVI ha suscitato l’ira dei musulmani, citando “il dotto imperatore bizantino Manuele II Paleologo”: “Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava“.
Come spesso accade, l’evento e la frase che lo ha scatenato, hanno prevaricato il contenuto autentico del discorso, il cui nucleo riguarda i rapporti tra fede e ragione. Ratzinger colloca la peculiarità del Cristianesimo proprio nell’incontro “tra la fede biblica e l’interrogarsi sul piano filosofico del pensiero greco”, sostanziatosi dapprima nel platonismo agostiniano e infine nell’aristotelismo tomistico, che da oltre settecento anni è il fondamento della dottrina cristiana (la critica dell’illuminismo è indicativa).
“Alla tesi che il patrimonio greco, criticamente purificato, sia una parte integrante della fede cristiana, si oppone la richiesta della de-ellenizzazione del cristianesimo”, che si è espressa in tre forme: la Riforma luterana, la teologia liberale del XIX secolo, il relativismo dei giorni nostri.
Si è trattato nei primi due casi di un ritorno alla purezza del messaggio biblico (“sola Scriptura”) e alla figura di Gesù; nel terzo caso di una storicizzazione del contributo greco, che, in altre culture, potrebbe essere rimpiazzato da elementi locali. In tutti i casi è stato essenziale il rifiuto delle scuole teologiche e dei complessi sistemi filosofici atti a determinare la “verità e il bene”.
Ratzinger critica queste posizioni, che depotenziano il ruolo della ragione nel rapporto con la fede, e contrasta in ultima analisi “la limitazione autodecretata della ragione a ciò che è verificabile nell’esperimento”, invitando la ragione moderna ad aprirsi a orizzonti più ampi e a trattare anche la teologia come una scienza.
Insomma, una ragione assoluta, attraverso la quale determinare ciò che è vero e soprattutto ciò che è bene; naturalmente, attraverso la mediazione della chiesa e dei suoi teologi, quale Ratzinger è stato.
Senza la quale la chiesa si troverebbe ad affrontare la conseguenza seguente:
“Poiché allora gli interrogativi propriamente umani, cioè quelli del “da dove” e del “verso dove”, gli interrogativi della religione e dell’ethos, non possono trovare posto nello spazio della comune ragione descritta dalla “scienza” intesa in questo modo e devono essere spostati nell’ambito del soggettivo. Il soggetto decide, in base alle sue esperienze, che cosa gli appare religiosamente sostenibile, e la “coscienza” soggettiva diventa in definitiva l’unica istanza etica”
Perché no?
Il discorso di Ratisbona come ebook qui: ..