Il futuro del giornalismo

Venerdì scorso sono stato a digit Torino, un convegno su “giornalismo, algoritmi e intelligenza artificiale”.

Quella del giornalista è una professione intellettuale sotto pressione – come e forse più di altre.
C’è di buono che hanno gli strumenti per rendersene conto !

Il calo occupazionale generale al settore, le notizie recenti di esuberi a La Repubblica e La Stampa, la vendita annunciata di Panorama, la prospettata abolizione dell’Ordine dei Giornalisti nonché la crisi prossima ventura della cassa previdenziale dei giornalisti (INPGI) hanno fatto da sfondo alle presentazioni futuristiche di Mezza e Rasetti che prospettano un sistema dell’informazione totalmente disintermediato e dominato da AI e bot.

Niente di nuovo, di declino si parla qui su calomelano praticamente dall’inizio del blog:

Mentre i temi dell’innovazione tecnologica sono abbondantemente trattati nel blog dell’LSDI.

Ho trovato invece molto stimolante la testimonianza concreta di un operatore economico che ha spiegato chiaro e tondo come funziona attualmente l’editoria digitale di piccolo cabotaggio, quella che si spererebbe in grado di contrastare il declino della carta stampata e dei grandi gruppi editoriali.

Di paywall o abbonamenti digitali neanche l’ombra, quindi l’unica fonte di reddito è la pubblicità. Gli inserzionisti si basano sui dati di lettura e click, che vengono gestiti da ComScore e Google Analytics.
Quindi il lavoro dei giornalisti è essenziale, nel senso che devono produrre contenuti che generino click. Come esempi di contenuti di questo tipo sono stati fatti: “la nevicata a Cuneo” e “la mareggiata a Savona”.

Insomma se fossero video, visto che i video più visti sono quelli di gatti in pratica si sta dicendo che tutti i registi, sceneggiatori, attori, costumisti ecc. si dovrebbero dedicare unicamente a produrre video di gatti. Proprio il mondo del video invece dimostra che pay-tv e cinema, grazie agli introiti di canoni e biglietti di ingresso sono in grado di sostenere anche le produzioni di qualità, con buona pace dei contenuti trash che restano comunque i più popolari e prediletti dagli investimenti pubblicitari.

Ciò conferma che il cuore del problema è il modello di business sostenuto dalla pubblicità (infotainment): occorre ritornare a pagare per l’informazione di qualità !

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